L'Infinito o la poesia e i suoi incubi nella mia vita • Terzo Binario News

L’Infinito o la poesia e i suoi incubi nella mia vita

Gen 30, 2013 | Blog, Silvia Leuzzi

Leggere e rileggere l’Infinito di Giacomo Leopardi, calpestando il suolo, che sopportò i suoi passi solitari, apre la mente verso riflessioni intense a volte spaventose. Nella mia vita di scolara ho letto questi versi un’infinità di volte. Li ho pure imparati a memoria, perché così si usava, mai però li avevo sentiti serpeggiare nelle mie vene, mescolandosi con il sangue. Solo quando avviene l’intreccio tra poesia e carne io sento finalmente la poesia e la sua essenza. Così come in un metaforico amplesso, l’Infinito è entrato nella mia vita ed ha preso una forma sua propria, al di là dei versi.

Quella siepe ha assunto i connotati della mia siepe umana opprimente e che “ il guardo esclude…” allora anch’io come già il Poeta cerco di guardare oltre, di immaginare una realtà più accettabile. Popolare la propria testa di sensazioni mistiche tra il sogno e la realtà per scacciare l’ineluttabilità del quotidiano è un gioco affascinante e pericoloso. Una specie di corsa a tutta velocità a fari spenti nella notte, così come cantava Battisti, perché la poesia è un’indomabile curiosa e il rischio fa parte del gioco. Ecco il rischio ma quale? Sempre il buon Giacomo ce lo spiega:

“ Ma sedendo e mirando, interminati spazi
di là da quella, e sovrumani silenzi,
e profondissima quiete io nel pensier mi fingo;
ove per poco il cor non si spaura. …. “

Il rischio è perdersi dietro i propri silenzi, le forti vibrazioni che proviamo nel tuffarci dentro noi stessi, ascoltando il canto dei nostri neuroni. Visioni ellittiche che ci denudano di fronte al mondo. La poesia è nuda e troppo appettibile ai sensi. Il poeta o la poetessa , strumenti di carne asserviti alla poesia, usati e poi buttati nella mischia emotiva, come in un mattatoio. All’ennesima lettura di questi versi, lì in mezzo a quell’orto, in mezzo a quegli odori di erbe aromatiche, tanto care ai fornelli, amati e odiati al contempo. Non vi dirò che ho pianto…perché non è vero…mi si è allargato il cuore però e un gran respiro ricco d’ossigeno mi ha riempito gli alveoli polmonari e mi sono sentita leggera, leggerissima.

Un’implosione di silenzio estatico, liberato dai fantasmi delle mie paure, che invece di assordarmi d’angoscia, si è trasformato in una musica sottile e accattivante. Libera da quell’ingombrante finzione dietro la quale celo me stessa. Così come sentiva il Poeta, su quel colle la cui siepe è diventata un muro, lo stesso muro che da Sartre ai Pink Floid ha segnato e segna il nostro destino. Muri e siepi offerti come orizzonte per lo sguardo, per non impazzire nell’astratto vuoto della nostra morale spezzata, della nostra vile inazione. Di fronte a tanta illuminazione non ho potuto non urlare “ EUREKA “, gioiosa di aver compreso quanto quella sensazione di paura di fronte al verso infinito, che credevo solo mia, fosse invece l’anello di congiunzione, offerto come salvagente ai naufraghi poeti di ogni tempo dalla poesia stessa.