I denti sono sempre bianchi • Terzo Binario News

I denti sono sempre bianchi

Dic 9, 2013 | Blog, Silvia Fabbi

Silvia Fabbi

Silvia Fabbi

Cammino per il centro della città, in un pomeriggio invernale in cui alle 17 è già buio. Passeggio per i vicoli poco illuminati, alzo la testa di tanto in tanto perché mi sembra di aver percorso quelle strade così tante volte da credere di non aver più nulla di nuovo da notare. Voci, sento voci. Non parlano italiano, ma una miscela di lingue dall’odore di spezie e deserto.

Alzo gli occhi, vedo dei bambini correre verso di me, rincorrono un pallone il quale finisce proprio vicino ai miei piedi. Uno dei bambini mi dice qualcosa in una lingua che non conosco. Io non capisco. Si corregge e mi grida “pallaaaaa!”. Io maldestramente tiro un calcio al pallone, colpisco in pieno la gamba del bambino. Quasi in colpa gli chiedo scusa e lui mi sorride. Bianco. Vengo accecata dal bianco dei suoi denti. Nel buio, al centro del suo volto scuro, a brillare sono i suoi denti.

Riprendo a camminare e mi sovviene un pensiero già fatto, già ponderato che riappare vivido nella mia mente e mi riporta ai periodi in cui la scusa dello studiare mi portava ad avvicinarmi a capolavori della letteratura, e a libri contemporanei come “Denti Bianchi” di Zadie Smith.

Un romanzo, un intreccio di storie e vite in una Londra invasa da “stranieri” che si piega alle esigenze dei suoi cittadini, e in cui i cittadini si adattano e amano e odiano la città in cui vivono. I denti, bianchi in tutte le razze ( se così le vogliamo chiamare) e in tutte le generazioni, un colore che rappresenta la vera eredità dei nostri avi, il segno che unisce un essere umano ad un altro, ma anche agli animali. Un sorriso, un ghigno, la prima cosa che mostriamo sono i nostri denti come a dire “vedi, li ho anche io, e sono bianchi anche i miei. Siamo uguali”.

Anni fa (non molti ad onor del vero), sfogliando quel libro, leggevo di Londra, della periferia, camminavo con la mente per le strade della città e la vivevo sentendola così esotica e, pertanto, così lontana; immaginavo di vagare per le zone esterne della città e ascoltavo affascinata le storie indiane, mangiavo fish and chips con riso al curry e mi sforzavo di capire discorsi in inglese intercalati da espressioni indiane, pakistane, …

Allora non avrei mai pensato che in un freddo pomeriggio di inverno, un calcio ad un pallone, avrebbe portato un po’ di Londra nel centro della mia città.