“Femminile, Plurale”, "Le ragazze fantasma" di Virginia Benenati finalista al premio letterario di Allumiere • Terzo Binario News

“Femminile, Plurale”, “Le ragazze fantasma” di Virginia Benenati finalista al premio letterario di Allumiere

Ago 16, 2024 | Allumiere, Cronaca, Cultura

Classe 1990, la scrittrice vanta anche il Premio Scaramuzza

Cresce l’attesa per la finale di “Femminile, Plurale”, il premio letterario di Allumiere. Il prossimo 30 agosto, la giuria di esperte, composta ancora una volta dalla editor e traduttrice letteraria Martina Testa e dalle docenti universitarie Veronica Ricotta, Laura Faranda ed Elisabetta Appetecchi, comunicherà l’opera vincitrice di questa sesta edizione. In lizza tre opere finaliste, tra cui “𝑳𝒆 𝒓𝒂𝒈𝒂𝒛𝒛𝒆 𝒇𝒂𝒏𝒕𝒂𝒔𝒎𝒂”, di 𝑽𝒊𝒓𝒈𝒊𝒏𝒊𝒂 𝑩𝒆𝒏𝒆𝒏𝒂𝒕𝒊 (𝑩𝒐𝒐𝒌𝒂𝒃𝒐𝒐𝒌).

Virginia Benenati nasce nel 1990. Laureata in Scienze filosofiche, coltiva da sempre la passione per la scrittura. Nel 2020 pubblica la sua prima silloge poetica, “Perielio” (Edda edizioni), vincitrice del Premio Scaramuzza. Dopo aver pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste online, esordisce nella narrativa con “Le ragazze fantasma”, un libro di grande attualità, nonostante sia ambientato nel 1917, come si evince dalla sinossi.

“1917, New Jersey. La U. S. Radium Corporation apre una nuova fabbrica destinata al trattamento di strumenti militari, in cui le impiegate, conosciute come dial-painters, hanno il compito di dipingere i quadranti degli orologi. Il radio, elemento alla base di Undark, la pittura fosforescente utilizzata, viene celebrato dal mondo intero come nuovo e innovativo, ma gli studi a riguardo non sono ancora completi, offuscati da un alone di ambiguità.

Nel corso degli anni, le ragazze iniziano ad ammalarsi una dopo l’altra e a morire misteriosamente, senza conoscere davvero la causa. Solo cinque di loro riusciranno a portare avanti un processo, lungo ed estenuante, alla ricerca della verità e, soprattutto, dei responsabili”.

Di seguito un passo del libro, letto lo scorso 8 agosto dalla Professoressa Antonella Rinaldi.

“Mary camminava svelta, durante quella mattina di inizio dicembre. Le sembrava non soltanto di recarsi al lavoro, in quella fredda alba di un autunno crepuscolare, ma, più propriamente, di essere come uno dei fili d’erba lì, in mezzo a quei campi che costeggiavano la strada. Avvertiva quasi oscillare il proprio corpo alla stessa brezza che smuoveva le piante e i rami più sottili, facendoli dondolare con dolcezza, come in una culla. Nell’ultimo tratto le parve di vedere il mondo intero, rannicchiato a mo’ di bimbo indifeso, ai piedi del grande cancello dello studio dove, per la prima volta, avrebbe messo piede da giovane donna lavoratrice. Si sarebbe chinata per prenderlo delicatamente per mano e condurlo all’interno, assieme a lei. Non che quello fosse il primo incarico che era stata chiamata a svolgere.

Due anni prima, esattamente il giorno del suo diciassettesimo compleanno, aveva incominciato a lavorare come sarta per un’importante fabbrica che si occupava di produrre cappelli di tutti i tipi e, in particolare, quelli a larghe tese per le donne. Le piaceva quel mestiere, innanzitutto perché, dati i risultati, si sentiva particolarmente portata per i lavori che richiedevano una manualità esperta, precisa, paziente. E poi, la sensazione del tessuto che scorreva ora veloce, ora lentissimo sotto le sue mani metodiche le trasmetteva, a tratti, la gaiezza del pelo liscio di un cagnolino. E infine, sì, c’era da ammetterlo, il prodotto finito quanto assomigliava agli indumenti che sbirciava sulle riviste di moda!

Le prime occupazioni, comunque, risalivano ancora più indietro, quando, poco più che bambina, si faceva carico delle scarpe e della fame dei fratellini. Erano sette in tutto, quattro maschi e, inclusa lei, tre femmine. Mary non l’avrebbe mai annoverato tra gli impieghi. Non lo considerava affatto un dovere calato dall’alto, ma più come una necessità a cui si fa fronte con animo premuroso e sollecito…”