In Italia si parla di “integrazione” da diversi anni, ma nessuno sa definire con precisione questa parola usata e abusata ogni volta che si parla di migrazione. Dopo anni di impegno attivo, penso di essere riuscita a capire cosa significa essere integrato in Italia e, in particolare, a Roma e Provincia. Credo sia utile condividere questa sapienza ottenuta “sudando sette camicie”, quindi ho elencato alcuni requisiti che deve possedere chi vuole integrarsi e, cosa ancor più importante, essere considerato integrato.
Sei “uno de noi” SE:
• parli la lingua del posto, ma prima devi comprendere qual è; in Italia ci sono molti dialetti e conoscere l’italiano potrebbe essere un indizio del fatto che sei un estraneo;
• capisci il significato della parola “aiutino”; se sei “de Roma” non guasta conoscere anche vocaboli come “urtisti”, “peromanti”, “nasoni” o “botticelle”;
• hai adottato la filosofia “e ‘sti cazzi” da applicare in ogni situazione di difficoltà;
• giustifichi dei comportamenti sleali, disonesti o non propriamente corretti con la scusa “tengo famiglia” propria del cittadino responsabile;
• secondo te, non c’è al mondo una cucina migliore di quella italiana;
• hai abitudini salutari, quindi non mangi salato la mattina, ma fai una cena “frugale” – non prima delle ore 20 – composta magari da 150 gr di pasta con il ragù o una digeribilissima pizza alla contadina;
• mangi un cornetto o un maritozzo di notte riuscendo di seguito a dormire senza avere la nausea o gli incubi;
• consideri “pezzente” uno che cammina a piedi per poi fare il tapis roulant in palestra, pagando;
• ti metti in fila di lato e non dietro gli altri;
• usi la frase magica “pijamose un caffè” quando vuoi socializzare (insieme ai pranzi multietnici offerti da te rappresenta la chiave di volta per la riuscita della relazione con gli “indigeni”, tanto da diventare strumento di lavoro del mediatore interculturale);