Perché lavorare a scuola? Perché lavorare per la scuola? • Terzo Binario News

Riccardo-AgrestiPerché lavorare nella scuola?

Ci sono lavori molto più remunerativi e molto meglio considerati nella società. Oggi i docenti, persino i luminari universitari, sono considerati alla stregua di poveri pezzenti (ed a controllare quale sia lo stipendio di un docente, se ne comprende facilmente anche il motivo).

Mio padre era un insegnante elementare in un piccolo paesetto di contadini. I genitori di quella piccola comunità volevano per i loro figli un destino diverso dal proprio, un miglioramento sociale che poteva venire solo dallo studio. Conseguentemente consideravano l’insegnante come colui che aiutava i loro figli a liberarsi dalla schiavitù dell’ignoranza, quella incapacità ad esprimersi che non consentiva loro di alzare la testa e guardare negli occhi chi sapeva parlare … e se ne approfittava. Nonostante la sua passione e nonostante il rispetto che riceveva prima di tutto dai suoi ragazzi e poi dai genitori, ammetto che mai avevo considerato la possibilità di esserlo un giorno anche io. Io ero fra quelli cha avevano visto in TV Armstrong poggiare i piedi sulla Luna e, anche solo con il mio cervello, volevo volare fra le stelle. Mi sono così laureato in fisica e poi ho cominciato a lavorare gratuitamente al CNR, in attesa che venisse bandito un concorso adatto a me ed alla mia specializzazione scientifica.

Nel periodo del mio servizio militare di leva, poiché ero già sposato, mi iscrissi a tutti i concorsi possibili ed immaginabili, al solo scopo di avere giorni di licenza da passare accanto a mia moglie. Già che c’ero, ne vinsi alcuni e, terminato il periodo di leva, mi fu assegnata la mia prima cattedra. Poiché la mia famiglia non era ricca, allo scopo di mantenermi (in attesa del famoso concorso per ricercatori), accettai il posto ed entrai in classe. Mi bastarono due giorni, insieme a quei ragazzi, per rendermi conto di quanto fosse appagante trasmettere conoscenza, in generale, e passione per la scienza, in particolare. Vedere come gli occhi di quei ragazzi si “illuminassero”, quando comprendevano qualcosa, rendendosi conto del perché accadessero certi fenomeni, divenne per me una specie di droga. Lasciai così definitivamente la ricerca e mi dedicai completamente a quell’insegnamento che fino ad allora avevo trascurato come possibilità lavorativa.

Mi resi conto, parafrasando Platone, che era sì importante costruire nuove fiaccole di conoscenza, ma era altrettanto importante usare la mia fiaccola, per accedere quelle di tanti ragazzi che volevano non solo osservare, ma “vedere” il mondo che li attendeva, e sperare che con le loro fiaccole illuminate, potessero un giorno trovare rimedi alla fame, ai mali, alle ingiustizie.

Negli anni di lavoro alle “medie” prima, alle superiori poi ed infine come dirigente scolastico, essendo contemporaneamente padre di due figli, ne ho viste e subite di tutti i colori, senza mai scordare cosa avevo provato e pensato quando ero studente. Mai ho però dimenticato il motivo del “perché” ero nella “scuola”, motivo che solo più tardi, leggendo Don Lorenzo Milani, ho compreso appieno: la mia è indiscutibilmente una scelta politica, basata sulla convinzione che le ingiustizie si possano eliminare con la diffusione della conoscenza e la democrazia compiersi realmente solo se tutti posseggano padronanza dei temi sui quali dover prendere decisioni.

Se comprendo e conosco il tema di cui si sta parlando, mi si potrà persuadere a cambiare idea solo utilizzando motivazioni convincenti e basate su fatti concreti e dimostrati (che evidentemente prima non conoscevo o non avevo considerati); se tutti conoscono l’argomento approfonditamente, tutti concorderanno su una eventuale scelta da fare, non per ideologia, ma per convinzione reale: se si dovesse votare per prendere una decisione, non si arriverà ad avere una maggioranza ed una minoranza, ma una unanimità, raggiunta a ragion veduta e con cognizione di causa, avremo la democrazia compiuta. Se coloro che devono decidere non conoscono approfonditamente il tema o i suoi dettagli, allora non si avrà alcuna unanimità, si giungerà ad una divisione fra maggioranza e minoranza (… e non è per nulla assodato che la ragione sia per forza della maggioranza), avremo allora una democrazia apparente. Se poi nessuno conosce i dettagli di ciò di cui si parla e nemmeno conosce le tecniche che esistono per convincere il prossimo, ciascuno potrà essere portato a credere in qualsiasi idiozia, si avrà allora nuovamente unanimità, ma questa volta saremo in presenza di una dittatura.

Pubblicato giovedì, 6 Novembre 2014 @ 15:07:27     © RIPRODUZIONE RISERVATA