di Cristiana Vallarino
In tanti si sono seduti nelle poltrone del teatro della Fondazione Cariciv e hanno seguito con curiosità la presentazione del libro “La giostra dei pellicani”, Watson Edizioni, di Ernesto Berretti, originario di Catania da ma decenni a Civitavecchia. In prima fila, il sindaco Ernesto Tedesco, la presidente della Fondazione Gabriella Sarracco e quella della Fidapa e della Pro loco Maria Crstina Ciaffi. A introdurre l’incontro Marco Salomone, presidente dell’associazione “BookFaces”. Moderatore Gino Saladini.
Stavolta l’autore ha lasciato la cifra prettamente autobiografica del precedente “Non ne sapevo niente”, cimentandosi in un’opera che, come ha detto Gino Saladini, non è un noir né un thriller ma forse è anche tutto questo. E’, si è detto, un libro sulla cattiveria e sulla brama di potere, possesso e soldi. Saladini lo ha avvicinato al verismo e alla letteratura noir francese e poi ha sottolineato come Berretti si prepari leggendo e studiando molto, prima di mettersi a scrivere. L’autore ha quindi ringraziato tutti i suoi amici che lo hanno aiutato a poter tratteggiare i personaggi e ambientare senza errori la storia, sia geograficamente che storicamente.

Si è parlato della giostra dei pellicani che spicca nella davvero bella copertina: la giostra sta per la ciclicità del destino, un “carosello” in cui è facile salire anche non volendo, subendo ricatti per salvare la vita di qualcuno caro, ma da cui è difficile scendere. E poi della scelta del pellicano, uccello che si squarcia il ventre per nutrire i suoi pulcini.
Il libro ha avuto una gestazione lunghissima, una decina d’anni, cominciata dal singolare incontro avuto a Sant’Agostino con un clochard. L’uomo raccontò la sua storia, quella di un ragazzo che fu costretto a dichiararsi colpevole di un delitto della ‘ndrangheta, per evitare che il “capobastone” trucidasse la sua famiglia. Si fece ben 40 anni di galera. Una vicenda reale, accertata.
Ma questo è solo lo spunto, perché naturalmente Berretti ha rimescolato le carte per non rendere il clochard identificabile e renderla ancora più ricca di particolari e situazioni. Cominciando con lo spostare la vicenda dalla Sicilia alla Calabria fino a Napoli. Siamo tra la fine degli anni ‘40 fino ai primi ‘50, un po’ l’ambientazione di Sciascia ne “Il giorno della civetta”. Poi però si arriva addirittura al 1998.
Incalzato da Saladini, che ha definito il romanzo “corale, polifonico”, l’autore ha spiegato come ha creato una serie di personaggi, maschili e femminili molto forti, di cui dei “flussi di coscienza” sono stati letti da Daniela Tartaglione, Alessandro Bisozzi e Vera Improta. Fra i protagonisti principali, molti malevoli ma anche buoni, con una “zona d’ombra”, c’è il giornalista Biagio Munzone.
Dopo il lungo e appassionato dialogo con Saladini, sul palco è salito anche lo scrittore Diego Zandel che fu il “padrino” del primo romanzo di Berretti, quello sulla sua esperienza in Serbia, e che ha speso parole di ammirazione e stima per l’autore. Il quale poi, sottoponendosi alle domande del pubblico, ha raccontato del suo metodo di lavoro, di come l’editing abbia modificato la stesura originale, di quanto di “suo” o della sua famiglia ci sia nel libro, se il suo essere esponente delle forze dell’ordine (è finanziere di mare) lo abbia condizionato nella sua scrittura e se frequentare una scuola sia utile a chi vuol cimentarsi nella narrativa. “A me è servito” ha detto Berretti che in chiusura ha esortato i presenti a leggere, non solo i soliti nomi delle solite case editrici, ma dando fiducia a quelle indipendenti, che puntano su autori nuovi: “chissà magari possono riservare piacevoli soprese”.
Nel suo caso nessuna sorpresa, casomai una conferma. E lo ha dimostrato la lunga fila per il firmacopie, sia prima che dopo l’incontro.
