I ragazzi dell’Istituto Comprensivo “Corrado Melone”, grazie all’invito del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, hanno potuto assistere a “Il Processo” presso la sala Sinopoli al Parco della Musica a Roma.
Pur essendo la rappresentazione estremamente interessante e adatta al periodo in studio da parte dei ragazzi, tuttavia gli attori non erano professionisti, ma vere personalità del Mondo giuridico reale ed hanno operato come in un vero processo, usando anche terminologia difficile per i ragazzi che però non si sono arresi, ma hanno ascoltato con compostezza e serietà, lavorando successivamente in classe, grazie ai docenti che hanno poi chiarito ed approfondito i punti rimasti poco chiari. Nonostante le difficoltà della giovine età (13 o 14 anni), i ragazzi sono rimasti attenti e compiti durante l’intera rappresentazione ed hanno ricevuto i complimenti da tutti coloro con i quali abbiamo avuto contatti e scambiato commenti a fine spettacolo.
Di seguito il loro lavoro conclusivo, contenente l’invito alla Ministra a venire a trovarli a Scuola.
Il 18 gennaio scorso, una cinquantina di noi alunni delle classi terze dell’Istituto Comprensivo “Corrado Melone” di Ladispoli siamo andati all’Auditorium Parco della Musica di Roma con i nostri insegnanti e il Dirigente scolastico. Presso la Sala Sinopoli, abbiamo assistito al processo al Re Vittorio Emanuele III celebrato a 80 anni dalla firma delle leggi “per la difesa della razza”, nell’ambito delle celebrazioni per il Giorno della Memoria. Erano presenti anche la Presidente della Camera, Laura Boldrini, la Ministra della Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli e la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni.
Vittorio Emanuele III è accusato di aver firmato le leggi razziali del 1938, facendo uso illegittimo del potere, tali leggi privarono gli ebrei italiani di ogni diritto e della propria libertà individuale, escludendoli dalla vita pubblica.
Il re imputato, però, rappresenta anche tutti coloro che approfittarono di quelle leggi e anche coloro che rimasero indifferenti.
L’unico elemento di finzione teatrale è la presenza del re, morto nel 1946, tutto il resto è tragicamente vero.
Lo “spettacolo” inizia con l’esibizione di due donne: una suona il piano mentre l’altra il violino, in quel momento tutti nella sala siamo incantati dalla indescrivibile bellezza della melodia. Alla fine il narratore spiega che quell’opera era stata composta da Mario Castelnuovo-Tedesco, musicista ebreo costretto a emigrare negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali. Castelnuovo è il primo di un lungo elenco di coloro che l’Italia perse a causa dei provvedimenti per la “tutela della razza” proposti da Mussolini, firmati e promulgati dal Re Vittorio Emanuele III. Continua la lista dei più illustri e capaci ebrei italiani cacciati dall’Italia, ognuno nella sala è inorridito per il tanto genio e talento di cui l’Italia si era privata.
Dopo il toccante discorso del narratore ha inizio il processo.
Salgono sul palco il pubblico ministero (il procuratore militare Marco de Paolis), l’avvocato di parte civile (il docente universitario della Bocconi Giorgio Sacerdoti), l’imputato (Umberto Ambrosoli) e infine la corte (Paola Severino, Rettore e ordinario di diritto penale presso la LUISS, e i magistrati Giuseppe Ayala e Rosario). Tutti, un po’ incerti tra realtà e finzione, ci alziamo in piedi come in un vero processo.
È difficile per noi seguire la lettura dei capi di imputazione, le arringhe del pubblico ministero e della parte civile, il loro linguaggio è davvero molto complesso, ma quando entrambi chiamano i testimoni a raccontare ciascuno la propria vicenda rimaniamo sbalorditi: tra il pubblico si alzano una dopo l’altra persone reali, in carne ed ossa, testimoni diretti ancora in vita di quei tragici anni che raccontano la loro storia, oppure i loro discendenti che portano la testimonianza ereditata dal padre, dai nonni, dagli zii. Capiamo come si sentirono le persone a quei tempi, con la paura o la speranza che cresceva in ognuna di loro.
Parla la nipote di Rita Levi Montalcini. Racconta di quando sua zia fu cacciata dall’università e fu costretta a studiare e condurre degli esperimenti in casa dove improvvisò un laboratorio in cui continuare le ricerche che le permisero di ricevere, anni dopo, il premio Nobel. La scienziata ripeteva spesso questa frase: “Non esistono le razze, ma esistono i razzisti”. Parla Federico Carli il quale ricorda che suo nonno, quando era studente, si rifiutò di pubblicare la tesi di laurea per rispetto del suo professore ebreo, e dovette rinunciare alla carriera universitaria. Morgane Kendregan legge una lettera che le inviò il nonno, Elio Cittone, per raccontarle la sua odissea.
La testimonianza diretta che ci colpisce di più è quella di una signora anziana, all’epoca bambina. Ricorda quando i tedeschi entrarono in casa con il sospetto che la sua famiglia possedesse una radio e, per accertarsene, buttarono il fratellino dal letto in malo modo nonostante avesse la febbre alta. Ricorda il dispiacere di non essere più potuta andare al mare ad Ostia. Ricorda il dolore dei fratelli più grandi che non poterono più andare a scuola.
Il primo dei numerosi Regi Decreti-Legge per la difesa della razza, quello del 5 settembre 1938, colpiva gli ebrei proibendogli di andare a scuola. L’articolo 1 la vietava agli insegnanti, l’articolo 2 agli studenti “delle scuole di qualsiasi ordine e grado”.
Con queste leggi venivano così annullati i diritti di uguaglianza che un altro Savoia, Carlo Alberto, aveva garantito a tutti gli italiani nel 1848, attraverso lo Statuto Albertino.
Poiché siamo in un teatro, ad un certo punto entra in scena la “Storia” e racconta tutta la vicenda da quando un Savoia ridiede la libertà agli ebrei, a quando un altro Savoia gliela tolse nuovamente.
Poi entra l’“Economia”, accompagnata da sua sorella la “Statistica”. La prima racconta l’incalcolabile danno economico causato dalle leggi razziali, la seconda esprime in silenzio la vergogna per gli impiegati dell’ISTAT che redassero il censimento di tutti gli ebrei. La Storia ha poi raccontato le molteplici responsabilità di coloro che assistettero in silenzio, di coloro che scrissero materialmente i testi dei decreti, di coloro che presero il posto degli ebrei cacciati dalle università, di coloro che si impossessarono dei beni che gli ebrei furono costretti a svendere, di coloro che, infine, li tradirono per incassare cinquemila lire.
Fa male ascoltare queste ingiustizie, ma è importante ricordare il dolore di chi le ha subite, in modo da tenere vivo in noi il rifiuto verso la discriminazione e l’odio.
Prima della decisione sul verdetto, la parola passa al Re che si difende dalle accuse.
I fatti da ascoltare sono molti, anche il linguaggio usato è molto impegnativo. Alcuni di noi avvertono la stanchezza, ma resistiamo perché vogliamo sapere come va a finire.
Il re si giustifica dicendo che Mussolini avrebbe voluto eliminare la monarchia e che se egli non avesse firmato le leggi razziali ci sarebbe stato un colpo di Stato. Hitler avrebbe aiutato Mussolini, come fece con Franco in Spagna, e l’Italia avrebbe conosciuto la ferocia dei nazisti già dal 1938 e nessun ebreo si sarebbe salvato: il re si difende dicendo di aver scelto il male minore. Il Presidente durante la lettura della sentenza citerà Hannah Arendt: “Chi sceglie il male minore dimentica troppo in fretta di aver scelto il male”.
La Corte esce per decidere.
Noi assistiamo alla proiezione di un discorso di Mussolini a Trieste nel 1938 che afferma il concetto più orribile per le nostre orecchie, ma non per quelle degli italiani di allora che lo stavano ascoltando entusiasti in una piazza strapiena: “l’Impero si conquista con le armi e si difende con il prestigio. Il prestigio si conquista affermando la propria superiorità sugli esseri inferiori”.
La Corte rientra in aula.
Al momento della sentenza siamo tutti attenti.
Quale condanna subirà un imputato colpevole di aver inflitto così tanta sofferenza a sudditi fedeli che aveva il dovere di difendere?
Lo Statuto Albertino inizia con le seguenti parole: “Con la lealtà di Re e con affetto di Padre […]” Vittorio Emanuele III tradì lo spirito dello Statuto e lo scopo della legge che non può essere quello di discriminare e infliggere sofferenza.
Tuttavia il re non può essere condannato in base all’articolo 4 dello Statuto stesso che afferma: “La persona del Re è sacra e inviolabile”, in altre parole il Re è al di sopra della Legge.
Stabilito che in base alle leggi dell’epoca non può esserci sentenza di condanna, il Presidente della Corte afferma che il re è stato condannato dalla Storia, in particolare dagli italiani che il 2 giugno del 1946 hanno votato per la Repubblica facendo uscire la Monarchia dalla scena della storia d’Italia.
Ammiriamo molto la Costituzione Repubblicana, la quale si basa su un sistema giusto nel quale la Legge è uguale per tutti, al contrario dello Statuto Albertino che era stato una concessione ed era flessibile al volere di un Re e di un governo ingiusti, una legge che considerava il re intoccabile dalla legge stessa.
Oggi, grazie all’articolo 3 della Costituzione Italiana tutto ciò non è più possibile.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Pensiamo sia molto importante per noi ragazzi conoscere questa parte di storia, così dura ed abominevole, tanto che facciamo fatica a crederla possibile. Ma anche se ci può sembrare inconcepibile, è davvero successa, e neanche troppo tempo fa! Crediamo che conoscere ciò che è stato ci sia utile per comprendere come comportarci nel futuro e anche per renderci conto di quanto sia importante la nostra Costituzione, che proprio quest’anno compie settanta anni. Siamo nati in un’epoca che ci consente di svilupparci insieme a tutti gli altri. Oggi nel nostro piccolo e domani nella società, desideriamo impegnarci a rimuovere quegli ostacoli che dovessero impedire questo sviluppo.
Riteniamo che le leggi razziali, le persecuzioni e la Shoah siano argomenti che debbano essere affrontati sempre, in modo non banale e non soltanto in occasione del Giorno della Memoria.
Vogliamo concludere sottolineando quanto abbiamo apprezzato non solo l’evento culturale al quale abbiamo assistito, ma anche il contesto nel quale si è svolto e il fatto che fosse sera.
Appena entrati nella Sala Sinopoli, incuriositi e un po’ inorgogliti dal trovarci in un posto così bello che, ammettiamolo, ci ha fatto sentire importanti, abbiamo iniziato a guardarci intorno. In platea c’era la Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Alcuni di noi non si sono lasciati sfuggire l’occasione di andare a salutarla, scattare un selfie con lei e invitarla nella nostra scuola. Poiché ci ha lasciato il suo indirizzo e-mail, le invieremo questo articolo e le rinnoveremo il nostro invito alla “Corrado Melone”.