Diario elettorale. Sankara, il debito, il lavoro e il bene comune • Terzo Binario News

Diario elettorale. Sankara, il debito, il lavoro e il bene comune

Gen 25, 2013 | Blog, Gianfranco Marcucci

Siamo ormai in campagna elettorale e i venti che tirano stanchi sono per lo più carichi di pioggia. Speravo che la crisi e il conseguente disagio sociale ed economico che stanno interessando fasce sempre più ampie di popolazione imponessero giocoforza un cambio di marcia. Che la politica tornasse a fare il proprio mestiere coinvolgendo i cittadini a un nuovo disegno comune. E invece rieccoci qui impantanati nel berlusconismo e nei suoi cloni drogati da una comunicazione spettacolarizzata e mediatizzata che emargina e umilia ogni tipo di discussione pubblica. Riponevo molta fiducia che questo tempo fosse il momento ideale per un ritorno ai temi che interessano veramente le persone (lavoro, welfare, ecologia) e per uno sguardo visionario verso il futuro. L’agenda politica odierna è invece: cosa farà Monti dopo le elezioni, chi ha vinto tra Santoro e Berlusconi, con chi deve fare Bersani il confronto televisivo, esistono ancora i comunisti? Non ci siamo.

Comunque andrà a finire il penoso circo della campagna elettorale a breve sapremo chi dovrà condurci fuori dal guado della crisi economica che stiamo attraversando. Come cittadino sono molto preoccupato per il domani che consegneremo ai nostri figli. Il modello di sviluppo dominante legato alla società produttivista e dei consumi sta ormai collassando su stesso e non sento in giro ancora nessun gruppo politico che inizia la propria analisi da questa constatazione. Si perde tempo a parlare di agende (quella di Monti, quella di Bersani) che dovrebbero riassestare il disequilibrio economico quando lo sforzo dovrebbe essere canalizzato a prospettare un nuovo modo di vivere assieme che rimetta al centro della politica il lavoro e gli uomini e non il denaro e la finanza. Il bene comune, insomma, e se possibile una nuova idea di società.

Le politiche monetarie restrittive stanno strangolando la popolazione europea. Non possiamo pensare che il perpetuarsi di tali azioni possa condurre ad una rinascita sociale ed economica. Il problema del debito è un falso problema, è il grimaldello dietro al quale le forze dominanti attraverso il controllo dell’informazione nascondono il proprio fallimento materiale e morale. Soprattutto la sinistra dovrebbe assumersi la responsabilità politica di spezzare questo velo d’ipocrisia.

Ammetto di essere un idealista ma questa notte ho sognato che uno come Bersani, Vendola o chiunque altro dicesse: “noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine… Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie… Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici… Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”… Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più.

Il debito nella sua forma attuale (è) controllato e dominato dall’imperialismo (…) in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso.

Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore… Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, noi moriremo, siamone ugualmente sicuri.

Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun dibattito; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua… Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore… Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No! Non possiamo essere complici. No! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli”.

Questo discorso potente e straordinario non è frutto della mia fantasia onirica ma è stato tenuto realmente nel lontano 29 luglio 1987. Lo pronunciò un signore di nome Thomas Isidore Noël Sankara, presidente del giovane Burkina Faso, durante un incontro dell’”Organizzazione per l’Unità Africana” ad Addis Abeba pochi mesi prima di essere ammazzato.

Mentre la nostra società durante gli anni ottanta non si preoccupava minimamente del sistema folle che aveva costruito e si crogiolava dietro ad un benessere che sembrava fosse illimitato, nel mondo esistevano allora uomini che davanti a quel benessere negato denunciavano le storture e i limiti del liberismo economico e finanziario. Se solo fossimo stati più attenti e più responsabili? Se solo fossimo stati maggiormente consapevoli che siamo cittadini di un villaggio globale in cui tutto è interconnesso e quindi anche le sue storture e le sue origini? Forse oggi il baratro non sarebbe stato così tanto vicino.

Il falso problema del debito deve essere quindi superato, ridimensionato oppure rinviato a tempi migliori. E L’Europa, questo strambo soggetto non eletto democraticamente al quale s’inchina tutta la politica, deve adeguarsi se vuole davvero contare nel prossimo futuro.

Ma il debito pubblico è solo un aspetto di un modello ideologico che ormai annaspa davanti alla storia. Il modello di sviluppo della crescita continua, cuore pulsante del capitalismo moderno, legato indissolubilmente alla creazione di desideri artificiali attraverso la pubblicità, il prestito di denaro per permettere di soddisfare tali desideri e l’obsolescenza dei prodotti al fine di iterare all’infinito tale processo, si scopre oggi il principale responsabile del disastro che ha generato. Altro che benessere! Quello che si prospetta davanti a noi è una redistribuzione economica iniqua con milioni di nuovi poveri nel mondo e una crisi ambientale non più sostenibile. Il tempo della crescita infinita è terminato così come quello dell’autonomia dei mercati.

Gli italiani insieme a tutti i popoli dell’occidente si meritano una nuova stagione politica nella quale da una parte le forze liberiste e conservatrici e dall’altra quelle democratiche e riformiste si contrappongano realmente sul piano dei contenuti e delle ricette da porre in essere. Che si parli finalmente in maniera seria di debito e/o del suo eventuale congelamento, di politiche restrittive versus espansive (rivedendo il ruolo delle banche centrali), di libero mercato e di intervento pubblico nell’economia. E soprattutto che si torni a parlare di lavoro, elemento fondante del nostro patto sociale.

L’articolo 1 della nostra Costituzione recita che la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro. Ne consegue che la principale preoccupazione che dovrebbe animare i nostri governanti, dal capo del governo fino all’ultimo dei funzionari pubblici, debba essere la creazione, promozione e salvaguardia del lavoro dei cittadini italiani. E questo dovrebbe essere soprattutto il cuore pulsante dell’agenda della sinistra che è nata proprio nel grembo delle lotte delle classi lavoratrici. A tal fine ci vuole un piano serio e straordinario di investimenti capace di modificare radicalmente i metodi di sviluppo salvaguardando prima di tutto l’ambiente che ci ospita e che da decenni al contrario massacriamo. E se i soggetti privati non vogliono/riescono ad investire in questa direzione deve essere lo Stato ad assumersi questo obbligo rivedendo se la legge attuale non lo consente modalità e termini dell’intervento pubblico in economia. Negli anni trenta a seguito della crisi economica del 1929 il New Deal degli Stati Uniti nacque proprio sotto queste linee guide e i risultati positivi non tardarono a venire.

Insieme a questi interventi straordinari e vigorosi si sente il bisogno di un nuovo patto sociale fondato sul bene comune troppe volte defraudato in questi tempi di individualismo sfrenato. L’uomo che si è fatto da solo di berlusconiana memoria non ci ha portato da nessuna parte. Solo gli uomini che si organizzano collettivamente in gruppi, associazioni e partiti possono sperare di cambiare l’esistente modellandolo secondo i propri bisogni e aspettative. L’italiano ha bisogno di riscoprire il senso del vivere assieme, il bisogno di solidarietà e di comunità.

È quindi giunto il momento dell’azione responsabile da parte di tutti: cittadinanza, mass media e classe politica. Non possiamo permetterci di perdere questa occasione. Finiamola con la storiella ideologica del primato dell’economia e del problema del debito. È questo il tempo del rilancio della politica, del lavoro e della speranza. Se perdessimo questo treno saremmo condannati inesorabilmente al declino economico e al conflitto sociale che altro non sono l’anticamera del caos.