Si ricordano del voto agli studenti Erasmus solo quando diventa un caso mediatico. Mi ha sempre creato un certo fastidio questa storia che le cose esistono solo quando i media decidono di gonfiarle. La questione era stata timidamente posta cinque anni fa con un movimento nato in Rete, che riguardava soprattutto gli studenti fuori sede.
Da anni rifletto a quanto ci piace renderci la vita difficile in Italia. Viaggiando per l’Italia e per il mondo, ho il maledetto vizio di comparare le usanze altrui alla nostra. Non capisco perché ci affatichiamo tanto a trovare soluzioni, con studi millenari, consulenze milionarie, senza mai giungere a nulla. Eppure la soluzione è semplice: la storia del mondo è storia di imitazioni e non ci resta che emulare gli esempi migliori che gli altri hanno trovato prima di noi. E così dovrebbero fare, se già non lo fanno, gli altri con noi.
La questione del voto dei non residenti è un problema serio. Che non riguarda solo i 25mila studenti Erasmus, ma le centinaia di migliaia di italiani che per una ragione o per l’altra si trovano all’estero e non può o non vuole iscriversi al registro AIRE, unico requisito che gli permetterebbe di votare. La maggior parte dei ragazzi che hanno lasciato l’Italia in cerca di condizioni migliori – come li capisco! – spesso non si iscrivono all’AIRE perché temono di perdere l’assistenza sanitaria italiana, perché intendono stare all’estero per un periodo inferiore ai 12 mesi previsti dalla legge, perché non hanno un regolare contratto d’affitto, o semplicemente perché non sono sicuri della loro scelta. Per tutti loro – e sono tantissimi – niente voto.
A questa platea aggiungo la categoria dei fuori sede, studenti e lavoratori che lasciano il proprio tetto natìo per andare a vivere in un’altra città italiana. E si calcola siano circa un milione. Per loro è previsto uno sconto sul biglietto del treno, che comunque non attenua la condizione di svantaggio rispetto agli altri cittadini. Ma fatteli tu due giorni di viaggio nelle carrette da Milano a Trapani! Per di più in periodo di esami e in tempi di sfiducia verso la classe politica.
Il diritto di voto deve essere garantito a tutti. Ed è una grave mancanza che lo Stato italiano non riesca a ottemperare a questo precetto democratico e a rimuovere gli ostacoli come dice la Costituzione. Si aggiunga che spesso sono proprio gli studenti universitari quelli più motivati e meglio informati per esprimere un voto ragionato e ponderato.
Come fanno gli altri Paesi? In Spagna chiunque decida di votare in un’altra città diversa da quella di residenza, non deve far altro che recarsi alla posta un mese prima delle elezioni e inviare al proprio ufficio elettorale di voler votare via posta comunicando il proprio indirizzo di domicilio temporaneo. Gli impiegati postali verificano l’identità del richiedente. L’elettore viene registrato come fuori sede e una volta ricevute le schede, esprime il proprio voto e invia tutto al proprio seggio. Discorso analogo per chi si trova temporaneamente all’estero. Solo che al posto dell’ufficio elettorale si deve recare nelle sedi consolari. Ho notizia di altri Paesi europei e sudamericani che fanno lo stesso.
Semplice no? E allora perché in Italia non si fa? Credo che le risposte siano due: non siamo abbastanza inclini all’organizzazione e temiamo che il voto possa essere compromesso da brogli, infiltrazioni o dal doppio voto. Vi ricordate le complesse procedure delle primarie del centrosinistra? Ecco. Non so perché questo timore sia tipicamente italiano.