Scuola statale e scuola privata • Terzo Binario News

Riccardo-AgrestiA causa della scarsità di finanziamenti che provengono dallo Stato, allo scopo di garantire una migliore più accattivante didattica, non legata alla lezione “gessetto-lavagna”, sempre più spesso la Scuola chiede aiuti finanziari alle famiglie, così molti si chiedono se la Scuola dello Stato stia diventando una scuola “privata”.

Se per “privata” si intende una scuola che discrimini i ragazzi dal punto di vista economico e sociale (perché solo chi può permettersela la frequenti) la risposta è un “no” secco, senza “se” e senza “ma”. Se invece si intende una scuola poco supportata dallo Stato, ma che vuole che i propri ragazzi abbiano le stesse opportunità dei figli di chi sia molto agiato e possa permettersi scuole di èlite, allora la risposta è positiva.

Credo che pochi ritengano sia giusto ci siano ragazzi che frequentino scuole dotate di tutto, ad esempio che svolgano lezioni all’aperto, che visitino palazzi e musei, che incontrino personalità della cultura e delle istituzioni e pongano loro domande direttamente e senza intermediari, che ascoltino concerti di musica classica, che vadano ad assistere a spettacoli teatrali o cinematografici, insomma che godano la cultura come quel divertimento che è e che rende migliori e più liberi, e ci siano scuole in cui tutto questo non esiste perché si deve restare in classe con una lavagna, un gessetto ed una, anche se spesso ottima, insegnante. Non si può negare che, nonostante l’ottima insegnante, i primi hanno qualcosa in più ed i secondi siano discriminati.

Per chiarirsi, occorre ammettere che nessuno potrebbe mai asserire che una pur eccellente lezione di due ore su Michelangelo o su Beethoven possano valere tanto quanto l’osservare direttamente la Cappella Sistina o ascoltare la “Nona” dal vivo. Queste attività hanno però un costo (trasporto, biglietti eccetera) che la Scuola statale non può permettersi, semplicemente perché non ha fondi.

In alcune scuole, i progetti e le attività sono svolte a pagamento, fuori orario scolastico, ma in tal modo si fallisce l’obiettivo di diffondere realmente l’istruzione. Infatti il corso pomeridiano sarà frequentato solo dai ragazzi che hanno alle spalle famiglie attente alle sue esigenze presenti e future, ma non sarà frequentato dai ragazzi per i quali presente e futuro sono la “strada”. È con i progetti pomeridiani, liberi di essere frequentati da chi può pagare, che la scuola agisce da “privata”, nel senso negativo che possiamo dare a questo termine.

Non è ovviamente concepibile che alle attività didattiche partecipino solo coloro i quali possano pagare: tutti hanno il diritto ed il dovere di partecipare; ma per questo occorre eliminare tutti gli impedimenti che possano creare discriminazioni, primo fra tutti quello economico.
C’è chi afferma: “se non possono averlo tutti, non lo abbia nessuno!”, ma è il modo sbagliato, oltre che stupido, di risolvere il problema. Occorre invece fare in modo che tutti abbiano le stesse possibilità. Non bisogna distruggere ciò che non si ha, ma occorre fare in modo che tutti lo abbiano.
Se alle scuola private i fondi giungono direttamente dalle tasche dei genitori, in fin dei conti occorre considerare che lo Stato finanzia le sue Scuole con i proventi delle tasse, anzi non le finanzia. Allora, se crediamo che le scuole debbano funzionare bene e debbano permettersi una didattica superiore (come quello delle private di èlite), possiamo accettare che quell’aiuto economico, che i genitori avrebbero comunque fornito tramite il pagamento delle tasse, provenga direttamente dai genitori, facendo fare ai loro soldi un “viaggio” molto più breve, diretto e meno a rischio di “deviazioni”.

Ovviamente non tutti i genitori possono pagare le quote necessarie a fare ciò che richiede una didattica d’avanguardia e si ritornerebbe al punto di partenza, se non si facesse perno sulla solidarietà fra genitori, ad esempio creando un fondo amico, gestito dai genitori, finanziato con feste e donazioni, con cui si possano coprire le quote di chi non potrebbe partecipare, consentendo anche ai ragazzi meno fortunati di essere insieme ai loro compagni, eliminando le differenze di status sociale. Spesso quei ragazzi meno fortunati, sono quei ragazzi le cui famiglie, per estremo pudore od orgoglio, non chiedono aiuto, magari riducono le spese su altre necessità per pagare la loro quota o addirittura accampano motivi ostanti la partecipazione perché non hanno soldi. Tuttavia i docenti più esperti hanno facile gioco ad individuarli: sono quei ragazzi che indossano sempre abiti dimessi, non portano a scuola gadget costosi, non hanno quasi mai spiccioli in tasca, ma la scuola è anche per loro, anzi soprattutto per loro.

Pubblicato giovedì, 25 Dicembre 2014 @ 10:12:54     © RIPRODUZIONE RISERVATA