Non dovevano ridere i bambini?
Non dovevano ridere i bambini?
Non dovevano giocare?
Un morto di un dio
Non vale dieci di un altro.
Si contendono lembi di terra,
terra matrigna,
la cui polvere gialla
non produce farfalla.
Spettatori passivi
Subiamo lascivi
Di questo orrore
Il nauseabondo odore.
Ho scritto queste due poesie, quando hanno cominciato a circolare su internet ed in televisione le terribili immagini degli ultimi bombardamenti nella martoriata striscia di Gaza.
Non sono qui per parlare degli sviluppi di una guerra che non trova soluzione. Trovo orribile questa situazione ed ancora più spaventosa l’impotenza vigliacca del mondo occidentale. Gli equilibri politici obbligano a sacrificare il più debole. Poco importa se a morire sono donne e bambini; poco importa se a fronte di un israeliano muoiono cento palestinesi. Israele è una potenza indiscussa e quattro cenciosi dai piedi polverosi non possono certo rivendicare il diritto alla loro terra.
Tanti sono i posti del mondo dove i bambini hanno perso il diritto al sorriso. L’industria delle armi non è mai in crisi, si alimenta di sangue e urla. Famiglie dai volti sorridenti mangiano grazie allo strazio di altre famiglie meno gaudenti. ( Non me ne vogliano i lavoratori di queste fabbriche che capisco e comprendo: il pane è pane anche quando è macchiato di sangue !)
Cosa può un poeta davanti a tanto orrore?
Poesia si commuove, ha il cuore grande. Sgomenta si aggira tra le macerie. Scava e le sue mani estraggono sangue e carne.
Non ha un colore questa terra, è sabbia maligna o sarebbe meglio dire che noi siamo gli elementi maligni in questo magnifico creato. Noi con i nostri pregiudizi, le nostre fragilità mascherate da fantasie, per le quali è giusto morire, è giustificato uccidere.
Quel “ NOI “ non ha razza, non ha sesso, non ha colore, è l’essere umano in tutte le sue caratteristiche: autodistruttivo, maligno, affamato di sangue, egoista ma anche costruttore di sogni, illuminato scienziato e delicato amante. Il bene e il male, vecchio dibattito che ogni uomo fa con se stesso camminando lungo questo strano pellegrinaggio chiamato vita. Purtroppo prevale il male, il verme sul leone, la meschinità sulla lealtà.
Compito indiscusso dell’arte in genere è quello di contribuire, seppur minimamente, a migliorare l’essere umano. Un’utopia? Probabile, ma il poeta è un venditore di sogni: sia che parli d’amore, sia che affondi le mani nel ventre marcescente della vita.
I versi hanno il dono di accendere un pensiero. Poesia si serve del poeta per traslare dentro il cuore del lettore, per pizzicare le corde della musica interiore che ognuno di noi possiede.
Poesia non vuole l’ascoltatore passivo, non serve e non produce alcun suono. È lo stesso volto spento che rimane indifferente di fronte a tanti morti, a tanto dolore. Oppure, seppur sgomento, per non soffrire più di tanto cambia rete, magari per farsi una risata con qualche programma demenziale, che fughi angosce e dubbi.
Quel che mi chiedo alfine è: che cosa possiamo fare noi? Noi che diciamo di pensare…..
Lettere, firme, sit in o magari una fiaccolata. Tutto serve e tutto si annulla di fronte all’indifferenza del potere economico, sempre lo stesso, sempre uguale, sempiterno oserei dire.
Allora Poesia canta, canta come l’uccellino in gabbia, tanta rabbia, tanta impotenza.
Canzone
Si balla con niente
Si balla per niente
Si corre all’impazzata
Si corre per strada
Siamo sempre colpevoli
Resistiamo agli attacchi
Le nostre donne
Non indossano tacchi.
C’è gente per strada
C’è il sole in strada
Se brilla la luna
La tua pelle è più bruna.
Raggiungimi sogno
Raggiungimi pace
Di braccia e di gambe
È piena la fornace.
La macchina da presa
È stata al gancio appesa
Riverso è il capo
Ma forse è un inchino.
Il cielo era blu
E l’acqua pulita
Un mondo perfetto
Per questo uomo imperfetto