Lo tsunami c’è stato. Anche se non ancora quello desiderato da Grillo. Il sistema Italia si è inceppato e questa volta non basta oliare gli ingranaggi, dare una passata di vernice e qualche colpo qua e là. In una democrazia liberale sul modello europeo, Monti rappresenterebbe il centrodestra e la coalizione di Bersani il centrosinistra e attorno a queste due forze, una d’ispirazione conservatrice e liberale, e l’altra socialdemocratica, ruoterebbe l’intero arco politico. E invece no. In Italia vincono i populismi che, seppur di diversa natura, restituiscono il quadro di una democrazia non ancora matura, nel tessuto sociale prima ancora che nella rappresentanza politica. Non si può continuare a far finta di nulla. Il voto di ieri restituisce due segnali chiari.
La vittoria di Berlusconi, l’ennesima, rivela che il popolo italiano non ha memoria storica, né remota né tanto meno recente. Al di là delle legittime idee politiche di ognuno, non si può dimenticare che poco più di un anno fa l’Italia era sull’orlo della bancarotta e che il governo Berlusconi era il responsabile, anche solo per inerzia, di quel disastro economico. Né si può dimenticare che per un anno il Pdl ha sostenuto con convinzione il governo Monti, prima di voltargli le spalle e trasformarlo da salvatore della patria a mostro esecrabile. Per non parlare delle promesse non mantenute, senza giustificazione, degli scandali sessuali, delle leggi ad personam, dei guai giudiziari, della compravendita dei parlamentari, delle prebende alla corte, dei vari “Cosentino” e via dicendo. Troppo facile rinnegare tutto, dare tutta la colpa a Monti, promettere l’impossibile e cavarsela con la simpatia. Un adulto non dovrebbe cascarci. Non è così che si fa politica in un Paese normale, dove, tra l’altro, l’alternanza di governo tra le forze politiche e il ricambio dei candidati premier sono elementi fisiologici.
Il successo di Berlusconi, dato per morto per l’ennesima volta, è un’anomalia per un Paese europeo. Significa che non c’è spazio nella nostra società per la riflessione, l’analisi, il confronto. Il nostro è un Paese dove prevale chi grida di più e ha la battuta più divertente, dove il tornaconto personale, l’evasione, i condoni prevalgono di gran lunga sull’interesse collettivo. Non importa che cosa si dice ma che la menzogna sembri vera. Con buona pace di chi per mesi discute i problemi, si confronta, cerca una soluzione condivisa. Aut! Viene bollato come noioso. Poco importa che si tratti di persone serie e oneste. Vince l’etichetta più facile, che trova larga diffusione nelle conversazioni da bar. E così Fini diventa il traditore della casa di Montecarlo, Monti l’uomo dell’Imu, Casini il vecchio della politica, Bersani il fautore delle tasse, Ingroia il magistrato politicizzato. E lui il gigolò sempre in grado di riacquistare la verginità perduta.
Bersani e il centrosinistra fanno venire in mente quello studente sempre preparato e diligente che viene interrogato proprio nell’unico giorno in cui non ha potuto studiare. Di nuovo vittima di una nemesi storica che colpisce la sinistra nella Penisola. Se avesse voluto fare incetta di voti e vincere a mani basse, dopo le dimissioni di Berlusconi nel novembre 2012 avrebbe potuto invocare le elezioni. Ma non l’ha fatto. Ha preferito salvare il Paese dall’emergenza, anteponendo ancora una volta l’interesse generale a quello particolare. Oggi si ritrova a pagare, unico, il suo sostegno a un governo che ha dovuto necessariamente – si potranno discutere i modi ma non la ratio – adottare provvedimenti impopolari e a passare come il partito delle tasse. E il lungo lavoro di questi anni volto a preparare l’alternativa di governo ha restituito una misera vittoria di Pirro.
L’altro segnale forte uscito dalle urne è dato dal successo del voto al Movimento Cinque Stelle. Un voto del tutto diverso, almeno nelle motivazioni e nei contenuti che veicola, da quello dato al Pdl. L’Italia è stanca, ferita. C’è un malessere sociale, una rabbia strisciante, rimasta inespressa per anni, che oggi ha trovato un interlocutore politico. L’immobilismo della classe politica negli ultimi decenni in tema di riforme e lotta agli sprechi ha fatto il resto. La crisi di rappresentanza del sistema istituzionale italiano è venuta allo scoperto ieri. Ora non si può far più finta di niente e abbozzare. Un primo tsunami c’è stato e ha già spazzato via parte del sistema. Prima che venga giù tutto, occorrerà rifondare il Paese, a cominciare dal tessuto sociale, dalla ricostituzione dei corpi intermedi, dalla formazione dei cittadini, dal garantire opportunità a tutti, equità e giustizia sociale, e di pari passo porre mano alla riforma dello Stato. Il segnale c’è stato, forte e chiaro. O si cambia oppure un secondo tsunami di ben altra portata ci seppellirà tutti. E non serve saper nuotare.