Il gioco al ribasso sui costi della politica • Terzo Binario News

Il gioco al ribasso sui costi della politica

Mar 15, 2013 | Blog, Matteo Forte

I cosiddetti costi della politica sono stati argomento martellante in campagna elettorale, e non credo di dire una sciocchezza asserendo che una larga fetta di elettori proprio in base alle posizioni dei vari schieramenti su quest’argomento abbiano espresso la propria preferenza.

Allo stesso modo credo non sia una sciocchezza dire che molti dei cittadini convinti che ci sia bisogno di una drastica diminuzione o cancellazione di questi costi abbia votato il Movimento 5 Stelle.

Sull’argomento un articolo sulll’Huffington Post spiega puntualmente come funzionerà la retribuzione per i parlamentari a 5 stelle, che – per chi scrive – su questo tema hanno basato grandissima parte del proprio consenso. L’articolo, per i più pigri, spiega come fra una cosa e l’altra alla fine i parlamentari del M5S guadagneranno comunque oltre 10.000 euro.

Ora, fermo restando una serie di considerazioni mai scontate su quanto sia opportuno e necessario rivedere profondamente retribuzioni e benefit vari degli eletti oltre al meccanismo e alla consistenza dei rimborsi elettorali, è altrettanto importante sottolineare come ci si stia un po’ avvitando su questo punto, come se fosse il più importante nel complicato scenario italiano.

I tanto numerosi quanto contrastanti tweet di #Bersanifallifirmare e gli svariati commenti di questo tipo (da beppegrillo.it)

“Beppe Grillo prima delle elezioni:

“…sono nostri dipendenti e non dovrebbero percepire più di quanto non percepisca ognuno di noi…”

Beppe Grillo dopo le elezioni:

“L’indennità parlamentare del cittadino portavoce del MoVimento 5 Stelle sarà di 5 mila euro lordi mensili…”

Azzo! E io che pensavo di trovarne soltanto 2.500 in busta. Sarà che mi sono sbagliato io, ma non trovo comunque il resto, ossia gli altri 2500. Per non parlare dei benefits e varie (altri 10.000)!!!”

rendono evidente come ci sia qualcosa che non funziona.

A molti dispiacerà – e lo dice un under25 disoccupato, non uno della ka$ta – ma non può essere questo nell’attuale momento politico il punto considerato più importante, né quello più urgente, né tantomeno quello dietro cui nascondersi per quello che è a tutti gli effetti becero e puro opportunismo di parte, alla faccia di quella che va di moda chiamare vecchia politica (che poi sarebbe interessante capire come sarebbe quella nuova, ma è un altro discorso). Anche perché – com’è evidente dal commento sopra, ma è solo uno dei tanti – rinunciare a 2.500 euro oggi non è più sufficiente, e di questo passo, mantenendo questi toni, per larga parte dell’opinione pubblica non lo sarà rinunciare domani a 5.000 e dopodomani a 10.000 euro.

Andando avanti così entro qualche mese non sarà sufficiente neanche eliminarli totalmente e retroattivamente i rimborsi elettorali, così come non sarà sufficiente eliminare in toto stipendi, auto blu e tutte queste cose così care a una certa fascia – dei cui elettori, in fondo, posso comprendere anche le ragioni – che vuole sfasciare indistintamente tutto. E nel frattempo che i cittadini, le imprese, i lavoratori e il paese intero si fottano.

La verità è che non c’è tempo da perdere.

È ora che chi è stato eletto in Parlamento, al di là di schieramenti, stipendi e stipenducci vari, al di là delle correnti e delle direttive di guru, leader e leaderini vari, capisca che è arrivato il momento sì di sfasciare, ma soprattutto di costruire.

È il momento di parlare di lavoro, di uguaglianza, di ambiente, di conflitto d’interessi e di anti-corruzione. Ed è evidente che delle forze politiche che sono in Parlamento non tutte possono permettersi il lusso di affrontare questi temi.

È il momento di essere della partita, di fare compromessi, di sporcarsi le mani e di dar risposte ai milioni di cittadini che hanno scelto di votare non di certo perché gli eletti si incastrino sulle presidenze delle commissioni, dei rami del parlamento o per fare a gara a chi è più puro, ma per guidare il paese fuori dal tunnel. Altrimenti non se ne esce. Neanche stavolta.