Claudia n
on è solamente la donna affabile, spiritosa e intrigante come risulta a prima vista. Sotto l’aspetto esile e sbarazzino si nasconde una donna forte e tenace che ha saputo fare tesoro delle sue esperienze di vita non sempre facili. Arrivata nel 1996 col decreto flussi, si è stabilita da allora a Civitavecchia: “Adoro il mare e poi, sai com’è, il primo amore non si scorda mai”. Alla base della sua scelta di emigrare in Italia fu il desiderio di voltare pagina. Una decisione sofferta dato che dovette lasciare sua figlia di 4 anni accudita dai nonni e dal patrigno. L’impatto con la realtà italiana fu problematico: “La famiglia presso la quale svolsi il lavoro di collaboratrice domestica era composta da una coppia di Civitavecchia e i loro 3 figli. Ricordo che compravano cinque bistecche e mi dicevano che avrei dovuto mangiare gli avanzi”. L’ultima goccia che la portò a decidere di lasciare questo lavoro fu il rifiuto da parte della famiglia di accogliere la figlia di cui sentiva la mancanza e che voleva portare con sé. Dovette anche fare una vertenza sindacale dopo che la coppia si rifiutò di pagargli il dovuto.
Dopo questa spiacevole esperienza, conobbe per caso un medico che l’aiutò a portare sua figlia in Italia. In seguito, decise di ricongiungersi anche con la madre e la sorella. Avendo incontrato degli ostacoli, iniziò ad informarsi sulle procedure e sulle leggi: “Ci furono degli impiegati pubblici che mi dissero che noi stranieri avremmo dovuto sudare le sette camicie per ottenere il permesso di soggiorno. A quel tempo, si stava in fila davanti alla Questura dalle due del mattino, perdendo un giorno di lavoro e vedendosi rifiutare la pratica per la mancanza di un documento che in precedenza avevano omesso di dirti.” Inoltre, dovette rilasciare le impronte digitali, diventate obbligatorie per avere il rinnovo del permesso: “Mi sono rifiutata di lasciarle per il fatto che le prendevano solo agli stranieri. Ero colpevole di non essere nata in Italia? Alla fine me l’hanno prese.” “Mi sentivo offesa, mi dovetti lavare per mezz’ora perché non mi si toglieva l’inchiostro dalle mani. È stata un’esperienza umiliante. La cosa che mi fa indignare di più è che esiste una legge che prevede questa ingiustizia. Si parla di razzismo, di discriminazione, di xenofobia mentre si praticano a livello istituzionale. Adesso la situazione è cambiata un po’: per il permesso di soggiorno si prendono le impronte digitali elettroniche, non più con l’inchiostro. È una modalità che offende meno la tua dignità. Ultimamente lo fanno tutti quelli che vogliono la carta d’identità elettronica, inclusi gli italiani.”
- Lavori alla CGIL da tanto tempo. Come ti sei avvicinata al sindacato?
Nel ’97 andai a una festa organizzata dall’ARCI di Civitavecchia per curiosità dato che si parlava di migranti. Feci subito amicizia con il presidente dell’ARCI, il quale capì il mio interesse per il tema. Così iniziai una collaborazione con loro, inizialmente a titolo volontario presso il centro d’ascolto della Caritas di Civitavecchia. In seguito mi inserirono come animatrice culturale in un progetto per bambini di tutte le nazionalità, vista la mia esperienza pregressa con i bambini. Dopo un anno, seguii un corso di mediazione culturale ed iniziai a collaborare in vari progetti.
Nel ’99 successe una cosa spiacevole con un amico romeno che si diede fuoco davanti al Comune di Civitavecchia e capii che c’erano delle persone che non venivano ascoltate e dei diritti non riconosciuti. Quindi, dopo questo episodio, mi impegnai in alcune iniziative per cercare delle soluzioni e fui notata da una persona del sindacato UIL che mi propose di lavorare con loro. Siccome mi contattarono tutti e tre i sindacati, decisi per la CGIL perché accettarono le mie condizioni e per la vicinanza dell’ufficio da casa.
Inizialmente è stato faticoso, non sapevo neanche cosa volesse dire la sigla CGIL, desideravo fare un corso di formazione, ma alla fine dovetti studiare da sola tutta la storia del sindacato; sono un’autodidatta. Il lato positivo era che avevo carta bianca; è stato il periodo più creativo del mio lavoro. Ho costruito una rete a Civitavecchia con tutte le istituzioni. Non posso dire la stessa cosa per Ladispoli, perché mi è mancato il tempo e comunque, nonostante avessi avuto Mara Caporale come punto di riferimento, non sono riuscita ad avere lo stesso tipo di rapporto con gli altri.
Attualmente il lavoro al sindacato è un part-time anche se in pratica lavoro il doppio; non posso chiudere la porta quando finisce l’orario perché arrivano tanti utenti, anche dalla Toscana. Mi dovrei occupare solo delle pratiche degli extra UE, ma ci sono persone che vengono a chiedermi anche cose che non mi competono perché non sanno a chi rivolgersi. Inoltre, ci sono le persone che portano dei problemi non risolti dalle agenzie che si occupano delle pratiche per gli stranieri, che chiedono tantissimi soldi senza risolvere i problemi.
- Oltre all’esperienza nel sindacato hai avuto altre esperienze lavorative?
Ho fatto diverse esperienze e ho lavorato anche in TV. Una mattina mi svegliai con l’idea di proporre un corso d’italiano per gli stranieri in tv, insieme a un notiziario multilingue e ad un programma che approfondisse diverse culture. Telefonai alla TV locale chiedendo di essere ricevuta dal direttore che, apprezzando la mia “sfacciataggine”, mi ricevette. Lavorai al TG in romeno dal 2003 al 2007. Mi ritrovai a preparare il TG e a cercare gli sponsor per pagare lo spazio alla TV e le ragazze che ci lavoravano. Conclusi questa esperienza nel momento in cui capii che non ci sarebbe stata un’evoluzione. Nello stesso periodo, iniziai a fare un programma per la comunità romena anche in una TV di Roma e senza nessuna formazione. Se voglio far divertire i miei amici, faccio vedere loro i primi TG che ho realizzato.
- Quali sono le problematiche portate dai migranti al sindacato?
Il problema dell’affitto per esempio. Avvalendoci delle nuove tutele che riguardano il rapporto tra proprietari e inquilini, abbiamo aiutato i nostri utenti che prima non erano riusciti ad ottenere un contratto di affitto regolare. C’è chi attualmente paga 80 €, al massimo poco più di 100€ al mese rispetto ai 800 € o più che pagavano prima. Ebbi un caso di una ragazza con un tumore che il marito la lasciò con 2 figli piccoli a carico e che perse anche il lavoro. Spiegò alla proprietaria che nella sua condizione non poteva pagare i 800€ d’affitto e chiese un po’ di tregua, ma non trovò comprensione. Alla fine, decise di denunciare la proprietaria. Non sono mai stata a casa sua a vedere la situazione in cui abitava, ma le condizioni igienico-sanitarie erano scarse, le finestre e il pavimento rovinati, il riscaldamento mancava ecc. tanto è vero che dopo la valutazione dello stato dell’appartamento da parte del perito, si è fissato l’affitto di 81€.
Da noi arrivano ancora delle persone che vogliono informarsi su questa legge e chiedono consulenza ai nostri avvocati. I problema è che i proprietari hanno già trovato il modo di raggirarla: fanno il contratto per 250 € ma in realtà prendono 800 €. Comunque, a Ladispoli non tutti gli stranieri conoscono questa legge per carenza di informazione. A Civitavecchia, ad esempio, l’ufficio della CGIL è il punto di riferimento sia per gli stranieri che per gli impiegati degli uffici. A Ladispoli,invece, le persone si rivolgono alle agenzie per le pratiche burocratiche, le quali si fanno pagare lautamente. Molti si rivolgono a me in un secondo momento per i problemi irrisolti. Il sindacato ha degli accordi e le pratiche che facciamo sono gratuite. Volendo, ci si può iscrivere alla CGIL o lasciare un contributo volontario, ma non c’è l’obbligo, non abbiamo un tariffario.