di Fabio Paparella
Il sindaco Grando si vergogna di noi, si vergogna della sua città. Questa la sostanza, e anche la forma, dell’ultima dichiarazione del sindaco di Ladispoli. Il sindaco si vergogna di noi. Questa nuova consapevolezza, inizialmente, ha evocato nella mia mente solo il volto di Furio, insuperato personaggio di Carlo Verdone, mentre constata: “E lo vedi Magda che la cosa è reciproca?!”.
Poi, però, ho voluto prendermi un momento per analizzarne la logica e, soprattutto, il linguaggio. Voglio subito dire che il contesto di estrema difficoltà che tutti stiamo vivendo non giustifica né l’una né l’altro. Specie se si cade in contraddizione.
Non serve ricordare che, a partire dal primo decreto-legge del 23 febbraio, poi convertito dal parlamento, sono state poste, allo scopo di fronteggiare il Covid-19 e tutelare la salute dei cittadini, le basi giuridiche per la sospensione di vari diritti e libertà costituzionalmente garantite. Da lì in poi i vari decreti ministeriali hanno aperto il campo ad un tessuto giuridico prettamente amministrativo in cui le ordinanze di sindaci e governatori hanno assunto una rilevanza, concreta e mediatica, prima impensabile. Sulla legittimità di molti atti imperversa il dibattito fra giuristi. Ne attendiamo gli esiti.
Ma il punto ora è un altro: la disinvoltura con cui qualche primo cittadino si è affrettato a dismettere i panni di sindaco per quelli di sceriffo. Questa spavalderia è sempre declinata in chiave paternalistica e tutelare, ma dietro si può scorgere la convinzione del sindaco-sceriffo che i “cittadini” del tempo della pandemia siano un po’ meno “cittadini” di quelli che l’hanno eletto. Le loro facoltà sono come ridotte, mutilate: dalla quarantena, dalla voglia di libertà, dalla paura? Non si sa né importa.
“Ho la sensazione che al posto del Covid-19 nella nostra città si sia propagato un altro virus, che ha privato molte persone della capacità di intendere e di volere”, osserva Grando (qui l’intervento completo https://www.terzobinario.it/grando-provo-vergogna-per-ladispoli/ ).
Il possesso della capacità di intendere e di volere costituisce il presupposto giuridico per l’imputabilità. In sua assenza viene meno il presupposto minimo di maturità del soggetto affinché la legge possa muovergli rimprovero per il fatto commesso.
Quindi per costoro gli appelli alla razionalità smettono di avere senso. Più efficace affidarsi al valore dell’esempio. Unum castigabis, centum emendabis. Punirne uno per educarne cento. Eppure nessuno avrebbe sospettato affinità fra il sindaco e Mao.
Fatto sta che alcuni cittadini, quasi tutti minorenni, ieri hanno violato l’ordinanza che vieta di andare in spiaggia a prendere il sole. Sono stati, comprensibilmente, sanzionati dalla polizia locale con 400 euro di multa. L’applicazione della pena, però, non basta. Il sindaco si esalta con la sua esibizione e rappresentazione: “Abbiamo il primo campione di oggi, che se ne stava tranquillamente sdraiato in spiaggia a prendere il sole. Premio: 400 euro di multa dalla Polizia locale!”, annuncia intorno alle 17.30.
E ancora: “Altri otto vincitori, in un colpo solo! 8 ragazzi, quasi tutti minorenni, che passeggiavano allegramente in compagnia. I genitori riceveranno un premio da 400 euro ciascuno dalla nostra Polizia locale! Ora verranno a protestare?”.
Alcuni ringraziano ed esprimono apprezzamento.
Qualcuno, invece, fa notare lo scarto tra quello adottato e il linguaggio che ci si aspetterebbe dal rappresentante di tutta la comunità: “la terminologia usata non mi sembra consona ad un primo cittadino. ‘“Primo campione” e “premio” suonano tanto da presa in giro e gogna’, commenta un cittadino.
Risale solo al giorno prima il post di esultanza per la riapertura del mare di Ladispoli agli sport acquatici, con annesso video in cui si possono osservare numerosi surfisti solcarne le acque. Ma anche questa è una preziosa concessione di cui esser grati.
“Ho visto nei loro occhi la felicità di poter tornare a vivere il mare e in molti per questo mi hanno ringraziato”, scrive Grando sulla sua pagina fb.
Le sue parole suscitano anche reazioni di sconfinata gratitudine: “Grazie Sindaco, è stato davvero unico in questa scelta – scrive Andrea – Grazie di averci donato questa piccola libertà, ne avevamo bisogno per il corpo e per la mente”.
Un nuovo, pericoloso, mito delle libertà “concesse”, o addirittura “donate”, si fa strada, prima nutrito e legittimato dalle parole del presidente del consiglio, e poi diffuso dagli interventi (bipartisan) di molti altri politici e amministratori dell’emergenza. Eppure l’art.2 della Costituzione afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, non “concede”. L’utilizzo del verbo “riconoscere” sottintende la preesistenza di questi diritti rispetto al loro stesso riconoscimento giuridico. Certo, non va dimenticata neanche la seconda parte dell’art. 2, dove la solidarietà è eletta a valore fondante della nostra convivenza. Senza solidarietà non ci può essere comunità politica.
Da questa prospettiva la multa a chi sia trovato in spiaggia, ancorché da solo, sdraiato “col sole in fronte” è sacrosanta, in quanto vi è una norma che lo vieta. Ma farne motivo di vanto non ispira una grande solidarietà, né unisce la comunità.
Soprattutto se il sindaco stesso non rispetta le regole alla lettera.
Varie foto, pubblicate online, della sua passeggiata moralizzatrice del 5 maggio sul lungomare lo ritraggono insieme ad alcuni cittadini a meno di un metro di distanza. C’è chi lo sottolinea: “ma signor sindaco i metri di distanza non ci sono”. Ma la risposta di Grando non è così zelante: “abbiamo tutti la mascherina”. Eppure gli epidemiologi l’hanno spiegato a chiare lettere: “Se non saremo in grado di tenere una distanza di sicurezza, la mascherina da oggi in poi sarà semplicemente un gesto di buona educazione” (https://www.huffingtonpost.it/entry/senza-la-distanza-di-sicurezza-indossare-la-mascherina-sara-solo-un-gesto-di-buona-educazione_it_5e8c6f38c5b6e1d10a69ea7e). Sull’argomento insistono anche le FAQ del governo dopo il dpcm del 26 aprile che inaugura la fase 2: persino durante gli incontri con i “congiunti” devono essere rispettati: “il divieto di assembramento, il distanziamento interpersonale di almeno un metro e l’obbligo di usare le mascherine per la protezione delle vie respiratorie”. http://www.governo.it/it/faq-fasedue
Insomma, alcune foto sono un esempio plastico di come la propaganda può contraddire sé stessa: il sindaco esibisce un foglio con scritto “Io rispetto le regole, altrimenti non ne usciamo”. Prova che è possibile affermare le regole e ignorarle nello stesso tempo.
Forse qui la figura dello sceriffo lascia il campo a quella del sovrano. Soprattutto se prendiamo in prestito la definizione di Giorgio Agamben che definisce sovrano chi è “nello stesso tempo, fuori e dentro l’ordinamento giuridico”.
Nonostante ciò, caro sindaco, se qualcuno di quei cittadini, ragazze e ragazzi, fossero stati sanzionati per colpa di quei selfie, non ci sarebbe stato niente da esultare.
