I campi Rom di Roma: la voce di un protagonista • Terzo Binario News

siamo tutti romDa diversi anni si assiste ad un interesse per la musica e la cultura Rom, prevalentemente d’origine balcanica, senza che si vada oltre le musiche di Goran Bregovic o i film di Emir Kusturica, trascurando quindi le radici della storia dei Rom e, soprattutto, ignorando le attuali condizioni di vita in cui si trovano.

Nel contesto cittadino romano, in zone decentrate e relativamente isolate dai centri abitati, esistono diversi campi rom nei quali convivono varie etnie provenienti da alcuni Paesi dell’ex Jugoslavia e dalla Romania. Nella mia esperienza professionale, ho avuto l’opportunità di avvicinarmi alla realtà dei campi attrezzati della Capitale, autorizzati dal Comune e gestiti da varie associazioni italiane. Ho conosciuto diverse persone che ci abitano e ho ascoltato i loro racconti che vanno oltre ogni demagogia e retorica politica. La realtà dei campi è fatta di problemi oggettivi legati alla convivenza più o meno coatta in condizioni non idonee, dato che spesso la capienza del campo è inferiore al numero di persone ospitate, per lo più minori. Per non parlare del posizionamento di questi insediamenti, periferici e lontani dai centri abitati e dai servizi. Molti Rom non hanno mai conosciuto la vita di campo dato che nei loro Paesi di origine hanno vissuto una vita da sedentari. In Italia si ignora questo aspetto e si continua a considerarli nomadi.

toniUn testimone privilegiato di questa realtà è l’artista Antun Blazevic, in arte Tonizingaro che abbiamo interpellato per avere una opinione da parte di chi l’esperienza del campo l’ha vissuta in prima persona. Autore e interprete protagonista dei suoi spettacoli teatrali, Toni ha svolto anche il ruolo di mediatore culturale all’interno dei campi rom della Capitale dove è vissuto per circa 15 anni. Dall’inizio dell’intervista, Toni dimostra la sua natura anticonformista e irriverente, rispondendo con una battuta spiritosa, nonostante le tematiche affrontate. Alla domanda se vivesse ancora nel campo, ha esordito rispondendo: “No, grazie”.

Toni, hai svolto il ruolo di mediatore culturale anche nei campi rom, quelli che sono erroneamente chiamati “campi nomadi”. Secondo te, perché si continua a parlare dei rom come popolo nomade, nonostante siano stanziali?

Secondo me, si continua a parlarne di nomadismo per ignoranza, ancora non hanno capito cosa vuol dire nomadismo e non sanno che finì 200 anni fa. Ormai, per trovare dei nomadi rom, dovresti andare a cercarli in Mongolia.

Tu hai lavorato in uno dei campi rom della Capitale dove convivono insieme rom romeni, bosniaci e serbi, anche se divisi da un recinto “simbolico”. Esistono dei contrasti tra varie etnie?

Io ho lavorato sia nel servizio H24, controllando chi entrava e chi usciva dal campo, che nel servizio di accompagnamento dei bambini a scuola. Non parlerei di conflitto tra le etnie. Secondo me, si tratta più di un desiderio di proteggere le proprie tradizioni che variano da un gruppo etnico all’altro. È più una questione legata al senso di appartenenza. Per quanto riguarda la divisione del campo, si tratta, a mio avviso, di un problema di organizzazione. Le associazioni che gestiscono i campi dovrebbero risolvere e prevenire dall’inizio queste situazioni.

È noto che molti bambini rom accumulano tante assenze a scuola e per quanto riguarda le cause, le opinioni sono diverse. Secondo la tua esperienza, cosa si potrebbe fare per risolvere questo problema?

Le responsabilità stanno da entrambe le parti. I motivi oggettivi non mancano: i campi si trovano in zone molto periferiche; le scuole che non accettano più di un certo numero di bambini rom sono distanti tra di loro; la mattina c’è tanto traffico; non ci sono soste adatte per gli scuola-bus e si deve cercare un parcheggio, far accompagnare ogni bambino a scuola, ripartire e ripetere la stessa prassi per tutti i bambini, che ovviamente arrivano quasi sempre in ritardo a scuola. Le associazioni che gestiscono i campi hanno problemi di organizzazione. Quando ho lavorato come accompagnatore per i bambini, avevo proposto di fare qualche cambiamento (partire presto, andare prima alla scuola più lontana per poi tornare verso quelle più vicine ecc.), ma non se ne è fatto niente. Dall’altra parte, ci sono le responsabilità dei rom che non sempre preparano in tempo i bambini e quindi molte volte si parte in ritardo per questo motivo.

Secondo te quali sono le cause che hanno portato i rom a essere così passivi?

Come dichiarai tempo fa in una trasmissione di RAI 3, il male assoluto che colpì i rom in Italia fu l’assistenzialismo. Queste politiche hanno permesso alle associazioni che gestiscono i campi di sostituirsi ai genitori e alle famiglie e quindi hanno abituato i rom ad aspettarsi che gli altri risolvano i loro problemi. I rom, al loro arrivo, pensavano da soli a se stessi ma queste politiche assistenzialiste li hanno portati a pensare di avere dei diritti senza considerare gli obblighi. Come dicevo prima, la responsabilità è sempre delle associazioni perché dovrebbero prendere dei provvedimenti e cercare di cambiare la situazione. Credo che si è ancora in tempo per cambiare l’andamento delle cose.

Nei campi ci sono anche dei rom italiani?

Qualcuno c’è, ma la maggioranza vive nelle case, sono inseriti nella società come i Sinti abruzzesi e i Camminanti siciliani che sono tutti stanziali.

Si sente spesso dire che i rom sono abituati a vivere così e che quindi sono loro stessi a volere i campi. Come sono nati i campi rom a Roma?

Sono nati negli anni ’70 con le baraccopoli dei migranti dell’Italia meridionale che, nel momento in cui si sono trasferiti nelle case popolari, hanno affittato le baracche ai rom. Sono nati così i campi rom a Roma.

I campi rom sono un prodotto dell’emergenza abitativa della Capitale?

A Roma, il costo elevato degli affitti e la scarsità di case popolari sono una realtà.  Molti appartamenti sono disabitati, altri sono proprietà della Chiesa e non vengono affittati.Inoltre, non è da sottovalutare la diffidenza verso i rom.

vignettaI Rom sono spesso presentati attraverso gli stereotipi e i pregiudizi. Nella mia vita da pendolare, mi è capitato spesso di sentire che il ritardo del treno fosse dovuto al furto di rame. Anche se negli annunci non si specifica chi siano gli autori, non manca chi fa commenti riferiti ai rom.

Sai, i rom sono utili per tante cose. Ai bambini non rom si insegna l’educazione, usando come minaccia gli “zingari”; sono attuali gli stereotipi che vedono gli zingari che rapiscono i bambini, che rubano e che sono sporchi. Mi ricordo un episodio a cui assistetti anni fa a Milano. Tornavo col tram da uno studio televisivo dove ero stato invitato e vicino a me sentii due signore italiane sulla settantina che parlavano della donna rom salita con un bambino in braccio e un altro che si reggeva alla gonna e che, secondo loro, puzzava. Quando la donna rom andò a timbrare il biglietto, le signore insinuarono che l’avesse rubato. Un’altra volta, a Roma, salii su un autobus e una signora, vedendomi, strinse subito la sua borsa al petto. La tranquillizzai dicendogli di non preoccuparsi perché quel giorno non stavo “lavorando”.
Per quanto riguarda i ritardi dei treni, visto che ci sono sempre e su tutti le linee, se la colpa fosse dei rom, significherebbe che essi lavorano 24 ore su 24. Tu conosci dei rom che lavorano ininterrottamente 24 ore al giorno?

Qual è secondo te, se c’è, l’elemento che contraddistingue il popolo rom?

Se me lo avessi chiesto 20 anni fa, avrei saputo risponderti. Adesso non lo so perché negli ultimi tempi, con questa integrazione, ormai, non esistono più delle differenze. Quando si parla di integrazione, si intende assimilazione.

Questo purtroppo riguarda tutti i migranti, non solo i rom.  

L’assimilazione rappresenta un impoverimento reciproco. Ci viene chiesto di lasciare la nostra cultura e adottare la loro per entrare a pieno titolo nella società. Si parla spesso del fatto che i rom non vogliano lavorare, ma non è tanto vero. Nei convegni o in altre occasioni, chiedo sempre alle persone che hanno questa opinione se prenderebbero preso come assistente famigliare o domestica una rom. Succede ancora oggi che appena si scopre che un dipendente sia rom, venga licenziato. Oltre la discriminazione c’è anche la crisi e la mancanza del lavoro per tutti, la concorrenza è tanta e i rom non sono neanche tanto qualificati e molti di loro non hanno neanche studiato. In compenso, le nuove generazioni hanno iniziato a specializzarsi di più e a studiare.

Sostieni che ormai non ci sia più alcun tratto caratteristico dei rom, eppure, secondo me, esiste una peculiarità del popolo rom che è il “pacifismo”. In tutta la storia dell’umanità, il popolo rom non ha mai dichiarato una guerra o rivendicato terre.

Non ha mai fatto la guerra perché non esiste un paese per cui combattere. Neanche gli ebrei hanno fatto le guerre finché non hanno avuto uno stato. Se non hai un territorio da difendere o un paese di appartenenza, non ha senso fare le guerre.

 

Inno del popolo Rom “Jelem Jelem” (Camminando, camminando), eseguito dall’Orchestra Europea per la Pace e l’Alexian Group insieme a Miriam Meghnagi

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Pubblicato domenica, 24 Febbraio 2013 @ 08:14:25     © RIPRODUZIONE RISERVATA