Tra pandori e Coca-Cola, le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca • Terzo Binario News

Tra pandori e Coca-Cola, le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca

Dic 22, 2017 | Cinema e libri, Costume, Cultura, Dal Web

di Ginevra Amadio

Babbo Natale è figlio della Coca-Cola e qualcuno ancora non lo sa. Eppure sono anni che la festa più amata dai bambini e criticata da cinici anticonformisti per forza si nutre di televisione e di esperti di réclame destinati a diventare, a distanza di anni, ideatori geniali di miti e immaginari.

Per ultimo ci ha provato Paolo Genovese che con il suo 2sorelle per Bauli ha dato vita a un mini film dai toni realistici che ci ricorda – finalmente – come nelle famiglie non sia tutto un allegro tintinnar di bicchieri e biscotti a colazione; Valentina Corti Caterina Misasi si portano dietro vecchie ruggini che riemergono con prepotenza il giorno di Natale per colpa di una fetta di pandoro veronese. La stessa che poi, dinnanzi a un innevato e massiccio portone, le aiuterà a fare pace con se stesse e i propri fantasmi.

Un lieto fine scontato, che sfiora l’overdose da zucchero se non fosse che a Natale siamo tutti più buoni e, da che televisione è televisione, vi è sempre stato un panettone, un ricciarello o un liquore ad addolcire l’ultimo periodo dell’anno nell’immaginario collettivo. E non c’è bisogno di scomodare Packard e i suoi persuasori occulti per comprendere quanto la réclame abbia saputo penetrare la psicologia del profondo di ciascuno di noi con mezzi sempre più pervasivi e persuasivi. La pubblicità di Natale appare più come un mito collettivo, di quelli che si sono creati progressivamente nel tempo andando ad aggiungere a un nucleo stabile elementi sempre nuovi.

E a tal proposito torna sempre fruttuosa la distinzione operata Will-Erich Peuckert in seno al materiale della narrativa popolare, divisa tra Überlieferungen (tradizioni), e Sagen (saghe), che costituiscono l’una il naturale completamento dell’altra. Perché le “voci”, i “si dice” che si perpetuano nel tempo continuando a destare interesse assumono sempre, in un modo o nell’altro, una forma organica e completa. Diventano saghe con una loro solida gesalt, si cristallizzano e da quel momento fungono da paradigma per il futuro. Non importa come, non importa quando.

La pubblicità natalizia è così, presenta una tradizione stabile e al contempo vivace, ha il suo modello fissato in un passato non troppo remoto cui apporta costantemente nuovi contributi. Così il pandoro scende dal cielo, o è piuttosto elemento decorativo per l’ennesima prova di una grande Franca Valeri. Il panettone funge da ammortizzatore per Babbo Natale che si cala dal camino e la Coca-Cola tinge di rosso e magia le rappresentazioni più iconiche della festa. E poi ci sono i cartelloni, le stampe, quelle forme d’arte che recano in sé il potere del conforto unito all’ipnotico e sapiente uso della teoria dei colori.

Ed è di questo che parla Walter Fochesato in Le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca (Interlinea, pp. 220 euro 12), muovendosi tra quegli elettrodomestici, libri o dolciumi le cui immagini sono andate ad imprimersi nella memoria collettiva. Non c’è atmosfera natalizia che non rechi con sé quel sapore vintage o retro del panettone Galup anni ’50 o dei Baci Perugina del successivo decennio. Come per le invarianti delle antiche leggende, i contenuti si modificano a poco a poco, aggiungendo tasselli a storie che presentano comunque i loro punti fissi: la tavola imbandita, la famiglia, i regali e bambini. Immagini rassicuranti, intorno a cui si costruisce di anno in anno un abile e raffinato apparato di contorno.

natale

Ecco allora «l’uomo-trottola», «con frac e cilindro ma decisamente brillo, a cui dà vita nel 1950, per Riccadonna, Armando Testa». O ancora la Biancaneve attonita che guarda i sette nani danzare tra le bollicine di spumante Gancia. E la cioccolata, che da Motta a Perugina fa spuntare il sorriso ai bambini di ogni età.

Le pubblicità di Natale che hanno fatto epoca partono da fine ’800 e arrivano alla metà degli Anni ’70, per tracciare un secolo di festività sulla scorta di quella che di Fochesato è poi la collezione. Dei suoi innumerevoli pezzi – «mai contati», giura lui – sono duecento quelli scelti dall’editore, e tracciano «la nostra storia personale, ma anche politica, sociale ed economica». Perché il cammino della pubblicità negli anni equivale in sostanza a una parabola di costume, come illustrano ad esempio «le copertine natalizie di Grand Hotel della fine degli Anni 40 di Giulio Bertoletti [che] ci rimandano ad un’Italia ottimista a tutti i costi, ben diversa dalle condizioni difficili di quell’epoca».

Un’Italia dal cui panorama si esce solo per guardare ad Atlanta dove un’azienda, che già in passato aveva usato Babbo Natale, commissiona nel 1931 al disegnatore Haddon Sundblom una nuova immagine del personaggio destinata a depositarsi per sempre nella memoria collettiva. È la Coca-Cola la più forte inventrice del mito del Natale la cui vitalità, nel corso del tempo, non ha mai cessato di rinnovarsi in forme sempre nuove e, incredibilmente, uguali a se stesse.