Prima gli insulti per i capelli lunghi e lo zaino colorato. Poi il calcio, che gli fa perdere l’equilibrio. Ancora calci, lui si rialza ma riceve un pugno in volto ed è di nuovo a terra. Tutto nelle vicinanze della stazione metro Rebibbia: non sono nemmeno le 8 della mattina. Giulio (nome di fantasia) – 14 anni – decide comunque di andare a scuola: qui l’insegnante chiama la madre, che entro stretto giro accompagna il piccolo all’ospedale. Una giornata interminabile, quella di giovedì 23 gennaio. Ventiquattro ore dopo la donna va a sporgere denuncia ai carabinieri della stazione Roma San Basilio.
Il minore riporta un trauma cranico e ferite al viso. In suo soccorso – come riportato nella denuncia – arriva una coppia, mentre il branco – composto da quattro elementi – si allontana. Giulio riferisce di non aver mai visto quei ragazzi prima di allora: alla mamma racconta che avranno sedici anni, carnagione chiara, slang da adolescenti. Quel gruppo è sedere sul prato quando passa Giulio. Gli rivolgono parole non certo amichevoli, ma lui tira dritto. Fino all’aggressione.
La mamma di Giulio in queste ore riceve tanti messaggi di sostegno e solidarietà. Tra cui questo: “Non ci conosciamo, ma mi auguro che tuo figlio si riprenda psicologicamente e fisicamente presto e che gli aggressori vengano “riformati” alla civiltà e al rispetto del diritto di essere se stessi per poterlo insegnare agli adulti, ottusi, che li manovrano. È assurdo che nel 2020 accadano episodi estranei all’antichità e si replichino modelli ben più recenti le cui conseguenze sembrano rimosse dalla memoria storica. “
“Prego tutte le persone che ci conoscono di sostenerci – chiede la signora- e chi non ci conosce di cercare di non rispondere con altrettanto odio, perché di questo si tratta ( odio verso ). L’estetica come qualsiasi altro motivo è futile quando la risposta è violenta”.