Il settimo compleanno di Zoe – “Mia figlia ha perso la vita a sei anni, ma proprio pochi giorni fa un uomo mi ha consegnato le foto del suo settimo compleanno.
Non riesco a descrivere la situazione in cui mi sono trovato e in cui mi trovo tutt’ora, Ma partiamo dall’inizio: io ed Isabel, mia moglie, ci sposammo dopo quindici anni di relazione, tra cui cinque e mezzo di convivenza, e avemmo un’unica figlia: Zoe.
Purtroppo durante il parto si rivelarono varie complicazioni tra cui la rottura della placenta e varie emorragie che i medici non riuscirono a curare; a causa di queste problematiche mia moglie Isabel morì.
Avrei potuto provare amarezza, o addirittura odio nei confronti di Zoe per avermi portato via la mia amata, ma non lo feci perché so che Isabel avrebbe voluto solo il meglio per me e per lei. Ho amato mia figlia più di chiunque altro al mondo; era vivace, gioiosa e sempre sorridente, nonostante al suo fianco non ci fosse una figura materna.
Io e Zoe ci completavamo a vicenda: eravamo esattamente ciò di cui l’altro aveva bisogno e soprattutto io non mi sono mai arreso con lei; sebbene fosse molto difficile crescere una bambina iperattiva come lei, soprattutto dopo la morte della madre, ho sempre dato il meglio di me per farle avere un’infanzia come quella di tutte le altre bambine, ma forse tutto ciò non fu abbastanza. Ricordo ancora il suono della sua risata; sarebbe impossibile scordarselo. Ricordo anche il suo profumo, il ponte di lentiggini che le ricopriva la faccia da una guancia all’altra ed i suoi incantevoli occhi a mandorla nei quali mi perdevo ogni volta proprio perché mi ricordavano sua madre. Per il sesto compleanno di Zoe andammo al luna park insieme ai suoi compagni di classe. Quando arrivammo a destinazione lei si incantò su dello zucchero filato e su dei pop corn caramellati: voleva prenderli per forza. Essendo una calda serata di luglio, il luna park era sovraffollato e quasi non si riusciva a respirare. Zoe iniziò a correre verso la direzione dei pop corn e dello zucchero filato, mentre io non riuscivo a starle dietro. La chiamai e richiamai più volte, ma niente da fare, sembrava non riuscisse a sentirmi. Nonostante ciò, alcune volte si girava verso di me per dirmi di sbrigarmi. Mi ricordo ancora l’espressione dolce che fece appena vide dove l’avessi portata: i suoi occhi erano pieni di felicità e quella fu l’ultima volta che vidi quel meraviglioso sorriso che non dimenticherò mai. Zoe quella sera sparì; persi anche lei a causa della ruota panoramica che le tolse la vita. Uno degli uomini addetti ai controlli delle giostre che facevano parte del luna park non fece correttamente il suo lavoro, uno dei bulloni si staccò e provocò una catastrofe. Ci furono tanti morti e tra questi c’era anche mia figlia Zoe. Le ultime parole che mi disse furono “Andiamo papà! Sbrigati dai!”; dopodiché non sentii mai più la sua voce. La causa di tutto questo sono solo io, che appunto, come ho detto prima, non mi sono occupato di mia figlia come avrei dovuto fare. Al suo funerale ero vestito completamente di nero; anche la mia intera essenza era completamente cupa. Non riuscivo a sentire nient’altro che il dolore ed i sensi di colpa. La gente continuava a darmi le condoglianze e a parlarmi di quanto Zoe fosse perfetta, dolce e piena di vita, come se non lo sapessi. Tra la folla, vidi un uomo; non avevo mai visto questa persona prima e mi chiesi perché fosse lì… forse era un genitore di qualche amico di Zoe, ma si comportava in modo strano: più volte, sentendomi osservato, mi giravo e lo vedevo fissarmi, per poi distogliere subito lo sguardo; forse provava semplicemente pena per il dolore che stavo provando, anche se aveva un’espressione stana quando mi guardava. Quando il funerale volse a termine, l’uomo si avvicinò a me e velocemente mi mise un album di foto tra le mani per poi scappare; non mi diede tempo nemmeno per chiedergli spiegazioni. Ormai ne ero convinto: era un genitore di qualche amichetto di Zoe che mi aveva consegnato quell’album forse contenente foto di suo figlio o sua figlia con la mia; ma talmente ero distrutto che chi quell’uomo fosse nemmeno mi interessava più di tanto. Una volta tornato ho semplicemente messo l’album in un cassetto, non ce la facevo proprio a guardarlo. Durante il mese seguente alla morte della mia bambina iniziai a bere e non andai quasi mai a lavoro rischiando di farmi licenziare. Passavo il tempo da solo nel mio ormai vuoto appartamento. Fu solo quando mia sorella riniziò a parlarmi che io uscii dal mio guscio, non completamente ma il giusto per riniziare a vivere la vita normalmente. Poi un giorno, per caso, mentre cercavo un documento, mi imbattei in quell’ album; me ne ero praticamente dimenticato ma mi sentivo ormai pronto per darci un’occhiata. Decisi di aprirlo e ricordare, senza sentirmi un miserabile, la gioia che Zoe mi trasmetteva. Lì dentro, pensavo di trovare semplicemente una decina di foto di lei insieme ad amici, ma quando iniziai a sfogliare le pagine rabbrividii pieno di terrore per ogni singola foto mi passasse davanti agli occhi. Erano praticamente delle foto che a mano a mano mostravano la crescita di Zoe, ma c’era qualcosa di seriamente terrificante in queste: erano tutte scattate da una certa distanza e probabilmente in disparte; in alcune ero presente anche io. Stavo iniziando a sentirmi davvero male ma pensai che prima o poi sarei riuscito a trovare una spiegazione a tutto ciò. Vidi la bicicletta che le regalai il giorno del suo quinto compleanno insieme al piccolo caschetto verde; i brividi continuavano sempre più forti. Notai che mancavano ancora molte pagine alla fine dell’album, ma diedi per scontato che fossero vuote, essendo ormai arrivato a guardare le foto dopo il suo quinto compleanno, ma mi sbagliavo. C’erano anche le foto del suo sesto compleanno, ce ne era una persino sotto la ruota panoramica che la uccise qualche istante dopo aver scattato quella foto. Riconobbi il suo maglioncino rosa che insistette tanto a voler indossare e le mie mani sulle sue spalle. Non c’erano foto dell’incidente; nonostante ciò, la sua vita proseguiva, all’interno dell’album, anche dopo quella sera che per me fu un incubo da ricordare attraverso quelle fotografie. Nelle foto del suo settimo compleanno c’eravamo io e lei in cortile ricoperti di vernice e alle nostre spalle si intravedeva un quadro. Sì, il suo settimo compleanno.
Vicino al quadro c’era un palloncino rosa a forma di sette e ce n’era uno per tutti i suoi compleanni. In quel momento non riuscivo più a capire cosa fosse reale e cosa fosse finzione, quindi, completamente scombussolato da quelle maledette foto, lanciai l’album dall’altra parte della stanza e gridai più volte: “Non può essere… non può essere possibile!”, “Queste foto devono essere state modificate, per forza! Non c’è altra spiegazione!”. Stavo letteralmente impazzendo. “Chiunque mi abbia fatto tutto questo gli ritornerà indietro, ne sono sicuro!”. Continuavo a fissare terrorizzato quelle foto, finché non decisi di andarmi a lavare la faccia. Nonostante stessi impazzendo, volli continuare comunque a sfogliare le pagine di quell’album; ormai non avevo più niente da perdere. Ancora adesso, a distanza di anni, non riesco ad esprimere ciò che provai mentre osservavo il continuo di quel maledetto album che mi rovinò completamente la vita. Tutta quella situazione era ed è tutt’ora indescrivibile. Nelle foto si vede Zoe che continua a crescere, il primo giorno di prima media ed addirittura c’era un’immagine che raffigurava lei con un ragazzo, immagino il suo primo fidanzatino. Giravo le pagine con occhi terrorizzati e nel frattempo tremavo, finché non mi accorsi di qualcosa: chiunque stesse scattando le foto si avvicinava sempre di più a Zoe; tuttavia, non tutte le foto erano scattate in modo ravvicinato, rispetto alle prime che era evidente fossero state immortalate appositamente in lontananza dai soggetti. Io ero ormai scomparso dalle foto da un bel po’. Da adolescente Zoe assomigliava proprio ad Isabel; aveva un sorriso perfetto. Il suo sedicesimo compleanno era davvero strano: c’era un gruppo di amici seduto su una tovaglia rossa per fare un picnic; ma c’era qualcuno in mezzo ai cespugli, vicino agli alberi… si intravedeva leggermente un’ombra oscura. Ho smesso di guardare per qualche istante e mi sono appoggiato sullo schienale della sedia sulla quale ero seduto per riflettere un po’: “è troppo strano…”, pensai tra me e me. Ero talmente tanto preso da quelle foto che mi stavo quasi dimenticando di star guardando mia figlia crescere attraverso un album, il quale mi era stato consegnato da un completo sconosciuto. Momenti come questi sono totalmente surreali e quel giorno mi sembrava di essere in un universo parallelo. Io ormai non sapevo più cosa provare o pensare. La presenza della sagoma oscura iniziava ad essere sempre più costante in ogni immagine, ma spariva ogni tanto. Avvicinandoci al suo diciottesimo compleanno iniziai a far caso ad altre cose inquietanti: le foto non erano state scattate più in posti che conoscevo; alcune rappresentavano Zoe con uno sguardo perso, un’espressione stanca e dietro uno sfondo strano, come se stesse in una casa malandata, con poca luce. Andando avanti, la vita di Zoe si riempiva sempre di più di orrore e paura; inoltre i suoi vestiti erano sempre più ambigui: in alcune foto era vestita come un’antica regina mentre in altre aveva in dosso solo uno straccio strappato in alcuni punti, che lasciava a nudo alcune parti del suo corpo. Per non parlare della figura oscura che appariva ormai in ogni singola foto, ed in ognuna di queste di avvicinava sempre di più a Zoe. In alcune foto si riusciva a vederla completamente, mentre in altre si vedeva solo un braccio o una gamba. L’aspetto fisico di quella che probabilmente era mia figlia, peggiorava sempre di più: era magrissima e piena di lividi. Non ce la facevo più ad andare avanti; ma ad un certo punto sentii un rumore provenire dal corridoio buio che collegava camera mia con quella di Zoe, che adesso usavo come studio. Non andai a controllare per il semplice fatto che la pagina alla quale ero arrivato c’era una scritta rossa che mi aveva incuriosito: “…e infine…”; girai la pagina e rimasi immobile, con uno sguardo completamente terrorizzato ed inorridito dalla scena che stavo guardando: Zoe, sulle ginocchia, vestita con un abito da sera nero ed una mela già morsa in mano; le lacrime a rovinare il trucco ed uno sguardo disperato, come se stesse provando a chiedere aiuto solo con i suoi occhi. Chi stava scattando la foto teneva una lama in mano, lo capii dall’ombra che si rifletteva sul pavimento. Chiusi immediatamente quel dannato album e scoppiai a piangere, disperato; speravo fosse tutto un sogno, anzi un incubo, mi ripromisi di non aprire mai più, per nessun motivo al mondo, quell’album… per colpa di quest’ultimo mi sembrava di essere uscito completamente fuori di testa. Sistemai l’oggetto sulla mia scrivania, non feci caso a dove io lo avessi messo ma il destino volle che io lo mettessi proprio sul bordo del mobile. L’album cadde e si apri esattamente sull’ultima pagina, quella che non avevo avuto il coraggio di guardare. Nel momento esatto che quel maledetto libro cadde si sentì un rumore agghiacciante, che proveniva proprio dalla vecchia camera di Zoe. Fu in quel momento che di sfuggita vidi l’ultima fotografia: l’unica cosa che non volevo vedere, lo vidi. Un corpo senza vita totalmente brutalizzato e fatto a pezzi in una piscina di sangue. Sotto l’immagine c’era scritta una citazione: “Andiamo papà! Sbrigati dai!”, le ultime parole esatte che mi disse Zoe prima di essere schiacciata da quella ruota panoramica. Alzai lo sguardo e in fondo al corridoio vidi la sagoma oscura che mi fissava. Aveva le sembianze di una donna. Quest’ultima corse rapidamente verso di me e lì capii che si trattava di Isabel”.
S.B., 3aG