Caso Vannini, mamma Marina: "Marco merita giustizia" • Terzo Binario News

Caso Vannini, mamma Marina: “Marco merita giustizia”

Mar 2, 2016 | Civitavecchia

Marco Vannini e mamma MarinaMarina, la mamma di Marco Vannini, madre simbolo ormai in tutta Italia di chi difende al di là di ogni forma di conformismo, la dignità di una memoria, quella del figlio Marco che a suo dire rimarrà offesa fino a quando la verità non verrà alla luce e la giustizia non trionferà.

«Marco lo merita» dice Marina, con voce ferma che riesce a coprire gli attimi di commozione che traspare da quegli occhi che a tratti si perdono nel ricordo di quel figlio, unico figlio tanto amato.
«Lo merita perché era un ragazzo pieno di valori, sempre sorridente che amava la vita. Era un “agnello” capitato in una “tana” di “lupi”, così una mamma del nord che non conosco, mi ha scritto in un messaggio. Questa frase mi è rimasta impressa e non riesco a dimenticarla. Penso sia proprio così».

La vicenda di Marco Vannini la conosciamo ormai tutti, visto il clamore mediatico che ha avuto. Riassumendo però, il lato più oscuro rimane quello che è successo, i comportamenti, le azioni, le omissioni, da quando è partito quel maledetto colpo di pistola al momento del ricovero al Pronto di primo intervento di Ladispoli prima e al Policlinico Gemelli poi.

«Emerge il quadro di una umanità malata dove a quello che doveva essere il primo pensiero che umanamente si percepisce, salvare una vita, prevale quello spirito di conservazione e di salvaguardia di ciò che è materiale: il lavoro, la casa, l’immagine che verrebbe compromessa per cui un clan si unisce e si chiude in se stesso a propria difesa e a difesa del capo e si adopera in tante forme di depistaggio quasi a voler dimostrare che un fatto grave è in fondo un fatto banale. Questi aggiustamenti, tale adoperarsi a confondere richiedono quelle quattro ore preziose che a Marco costano la vita.
Quella famiglia, che per Marco era una seconda famiglia, lo ha tradito e ingannato ma non solo ha tradito e ingannato noi. Non è prevalso nemmeno l’amore che Martina, la fidanzata di Marco che era da me trattata come una seconda figlia, passava molto tempo con me, veniva in vacanza con me, diceva di provare, dal momento che si è arreso davanti agli interessi del clan».

Allora lei, Marina, cosa pensa di quanto può essere avvenuto? Lei fu la prima a dire che forse l’elemento che ha scatenato il fatto che ha portato qualcuno ad impugnare quell’arma era qualcosa che Marco aveva visto e non doveva vedere e successivamente che lo ha come condannato a morte, che aveva sentito e non doveva sentire. Cosa ha visto a suo avviso? Cosa ha sentito?

«C’è un dubbio che non mi da pace. Marco, a quella famiglia, voleva molto bene ma ultimamente rifletteva e potrebbe essere capitato che quella sera avesse in qualche modo espresso il desiderio di andarsene, di lasciare Martina. Per una famiglia di quel tipo che viveva di immagine, tale fatto pùò aver portato ad una reazione da parte di chi vedeva minare il prestigio del clan.
Ma quello che mi fa più rabbia lo trovo nei comportamenti postumi da dove emerge quasi una volontà di eliminare, lasciandolo morire chi se salvato poteva raccontare come effettivamente erano andate le cose. L’accesso agli atti di indagine danno forza al mio dubbio. I Carabinieri rapportano:”Alla luce di quanto fin qui esposto si ritiene che il decesso di Vannini sia il risultato della sommatoria delle condotte poste in essere da tutti i componenti della famiglia Ciontoli e di Giorgini Viola che si ritiene siano tutti responsabili del decesso di Vannini Marco avendo accettato a vario titolo il rischio morte come conseguenza diretta delle proprie azioni e/o omissioni».

Di tanto è convinto anche lo zio di Marco, Roberto Carlini, che parla di elemento scatenante che ha portato Ciontoli ad impugnare l’arma e a sparare e del fatto che non si è certi neanche di dove è avvenuto lo sparo in quanto la ricostruzione derivante dalla confessione dI Ciontoli pone dei dubbi anche in questo.
Marina, lei vuole giustizia per Marco, che giustizia vuole?

«Premesso che nessuna forma di giustizia mi riporterà in vita Marco e premesso che sono stata avvertita con una telefonata che mi diceva che Marco era caduto dalle scale, che sono venuto a sapere dello sparo al pit di Ladispoli, premesso che Marco è morto per una lenta emorragia interna perché non soccorso per quattro ore, premesso che da quando ho sentito la registrazione di Marco che urlava e diceva alla sua Martina “portame” “basta portame”(dove all’ospedale?), Penso che il branco di lupi dovrà avere una punizione tale che intacchi tutto ciò che di venale hanno difeso. La loro condizione, la loro immagine, e questo si potrà avere con la detenzione che sull’accertamento delle responsabilità, nei termini stabiliti dalla legge meriteranno. Il quattro si parlerà di rinvio a giudizio. Confidiamo che quanto avverrà quel giorno spalancherà le porte al compimento della giustizia per Marco».