Claudio Baglioni, forza e complessità di "Mister Sanremo" • Terzo Binario News

di Ginevra Amadio

Benché la notizia sia ormai già vecchia – in una società liquida in cui tanto le catastrofi quanto l’ultima love story Vip finiscono nel dimenticatoio a tempo di tweet – , la nomina di Claudio Baglioni a “Mister Sanremo” continua ad essere sulla bocca di tutti, perlomeno in Rai.

Neo conduttore e direttore artistico, il cantautore romano ha già rivoluzionato il carrozzone del Festival con tre importanti novità, annunciate non senza orgoglio in un’intervista al Tg1: no a eliminazioni e serata cover, sì a canzoni più lunghe che diano a tutti la possibilità di esprimersi al meglio. 

Decisioni non indifferenti, che rivelano sin da subito il carattere preciso e ostinato di colui che si prepara ad essere la vera sorpresa del Festival della canzone italiana.

E pensare che per anni la sua immagine è rimasta legata quasi esclusivamente a quel (mi si perdoni la variazione) Piccolo grande amore di sciropposa memoria. La maglietta fina, il mare, i giochi, le fate hanno cullato più di una generazione di giovanissimi, rendendo Baglioni il cantore ufficiale di un’adolescenza inquieta ma armata di fiducia nel futuro e nell’amore. Proprio perché, forse, Claudio Baglioni era uno di loro.

Un sognatore, forse insicuro, ma fortemente determinato a voler diventare qualcuno e cercare il proprio posto nella vita. E lo faceva strimpellando note, cantando i desideri di tutti, in un mondo in cui non c’erano talent show né santi in casa discografica a spalancare le porte. Come ricorda Gianni Borgna, l’apprendistato di Baglioni è stato lungo, faticosissimo ed è passato «attraverso i vari “festival degli sconosciuti” e la miriade di “concorsi per voci nuove”, a cominciare da quello da lui vinto all’età di quattordici anni a Centocelle», il suo quartiere natale.

Poi il successo, le migliaia di dischi venduti, i premi vinti per merito e passione. La stagione dell’impegno in musica volgeva al termine e chi meglio di Claudio Baglioni poteva incontrare, allora, il gusto dei giovani? Con romanticismo naïf  e lirismo a tratti ingenuo è diventato spontaneamente l’autore della colonna sonora di un’epoca, che ancora oggi non accenna a tramontare; concerti negli stadi, dischi passati di mano da madre in figlio, con E tu dei primi amori destinata ad aggiungere un … come stai? nel giro di qualche mese. Amori felici e amori finiti hanno avuto una canzone di Baglioni come sottofondo delle proprie emozioni.

Eppure l’arte di Baglioni non è mai stata solo questo. Per capirlo basterebbe citare Ragazze dell’Est («[…] Io le ho viste che cantavano nei giorni brevi / di un’idea […] stringere le lacrime di una primavera che non venne mai»), che con la solita, ariosa armonia reca in sé una descrizione del quotidiano in grado di nascondere la tragicità della vita. O ancora Uomini persi («Anche chi dorme in un angolo pulcioso / coperto dai giornali le mani a cuscino / ha avuto un letto bianco da scalare / e un filo di luce accesa dalla stanza accanto […]», testo sinceramente poetico venato di riferimenti a Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna e anche per questo capace di restituire un’immagine ben più complessa della sua produzione.

Ma il cliché del cantante per adolescenti fatica ancora, nonostante tutto, a liberare Baglioni da quel limite che ha finito, il più delle volte, per imbrigliare la sua forza. Ed è proprio per questo, come ricorda ancora Borgna, che gli ultimi album dell’artista hanno cercato di esprime sempre più quella complessità che gli era, in fondo, connaturata da sempre. Ma quando si calca il pedale il rischio è sempre quello della perdita di spontaneità. L’eccessiva pretenziosità di certi passaggi di testo (emblematico, in tal senso, il ricorso ai neologismi stranianti di Oltre) ha finito per produrre, accanto a grandi momenti di felicità espressiva, alcune cadute di tono che si sarebbero potute evitare se solo la volontà di smarcarsi non si fosse vestita di pretesa cosmogonica.

Quello di Claudio Baglioni è un grande talento che non ha bisogno di forzature intellettualistiche. E lo dimostra, nella sua spiazzante quanto apparente semplicità, il testo e la musica di Mille giorni di te e di me. Nessuno è stato in grado di descrivere con una profondità così naturale il dolore lancinante che produce la fine di un amore. È un male fisico, che ha ricadute sul corpo e sulla mente. E spesso non si riesce a parlarne, perché il ragionamento risulta inibito e il cuore, letterariamente, sembra cadere a pezzi. Ma non è romanzo, è vita. O in Baglioni, semplicemente, è musica.

 

Pubblicato martedì, 31 Ottobre 2017 @ 21:25:00     © RIPRODUZIONE RISERVATA