La scuola è ignorante.
Molti potrebbero pensare che questa sia un’affermazione ossimorica. Molti potrebbero credere che io stia offendendo. Ma in realtà sto solo dicendo che la scuola non sa, che ignora o fa finta di ignorare, quello che c’è fuori ad aspettare i nostri ragazzi dopo la maturità.
E non mi riferisco alle materie insegnate (“Il latino, a che servirà mai il latino?” citazione che non potrebbe vedermi più dissociata), ma all’atteggiamento che la scuola rivolge nei confronti dei ragazzi.
Credo, e questo che sto per dire è frutto di pura soggettività, che la scuola abbia dimenticato il proprio ruolo. O meglio, che tutto intorno a questa istituzione abbia fatto in modo che la scuola dimenticasse la propria funzione: formare, istruire, responsabilizzare. In una sola parola: rendere maturi.
Una valanga di riforme, decreti ministeriali e denunce da parte di genitori che hanno portato la scuola, e i dirigenti, a fare passi indietro. Tutto purché non si infanghi il buon nome della scuola.
A questo va aggiunto lo strano ruolo che ha assunto la famiglia: madri e padri che sono passati da essere genitori ad amici, appoggiando (e giustificando) in tutto e per tutto i loro figli.
Il primo concetto ad essere stato stravolto è stato, a mio avviso, quello di inclusione. Abbiamo voluto primi fra tutti in Europa (forse nel mondo?) una scuola inclusiva, aperta a tutti, egualitaria, dove tutti potessero avere gli stessi diritti, e tutti si sentissero parte della stessa società.
Temo, tuttavia, che qualcosa sia stato mal compreso in questo passaggio.
Includere non significa permettere tutto affinché anche al “bulletto” della classe si dia a tutti costi 6. Includere significa non lasciare nessuno indietro, fornendo a tutti gli strumenti necessari per formarsi, e per affrontare la società (che ahimè non è inclusiva).
La scuola deve essere adeguatamente sfidante, deve saper solleticare la zona di sviluppo prossimale che è in ognuno di noi, affinché tutti sappiano fare al meglio una cosa: pensare.