Caso Vannini, Carmelo Abbate: "Solidarietà a Miroli ma non istigo il prossimo a delinquere. Ho sporto querela" • Terzo Binario News

Caso Vannini, Carmelo Abbate: “Solidarietà a Miroli ma non istigo il prossimo a delinquere. Ho sporto querela”

Mag 13, 2018 | Cerveteri, Civitavecchia, Cronaca, Ladispoli

“La mia totale, sincera, incondizionata solidarietà al signor Antonio Ciontoli, alla sua famiglia e all’avvocato Miroli”. Con queste parole il giornalista Carmelo Abbate ha preso le distanze dagli atti intimidatori nei confronti dell’avvocato della famiglia Ciontoli Andrea Miroli.

“Nei giorni scorsi l’avvocato Andrea Miroli, difensore della famiglia Ciontoli nel processo per la morte di Marco Vannini, ha ricevuto una busta con dentro un proiettile calibro 9 – spiega in un post su Fb il giornalista –
Dentro c’era scritto un messaggio farneticante, all’interno del quale viene fatto il mio nome: “Ha ragione Carmelo Abbate, non basta la giustizia, ci deve essere vendetta e qualcosa di spietato per un vigliacco come te e così anche per il tuo avvocatuccio”.

“È un fatto grave, per il quale esprimo la mia totale, sincera, incondizionata solidarietà al signor Antonio Ciontoli, alla sua famiglia e all’avvocato Miroli – continua Abbate – l’esercizio privato del diritto per far valere le proprie ragioni, la giustizia fatta in casa, la vendetta per sanare un torto subito, sono totalmente estranee al mio modo di pensare, di essere e di stare al mondo.
Chi mi ascolta durante i miei interventi a Quarto Grado, chi ha letto i miei libri o mi segue sui social network, conosce benissimo il mio pensiero. Sa per esempio che sono fermamente contrario alla pena di morte come all’ergastolo, che considero antiscientifico, anticostituzionale e figlio di una concezione della giustizia che demanda allo Stato il potere di consumare vendetta.
Non ci vuole molto per verificare e appurare quello che sto scrivendo. Basta andare sul sito internet di Mediaset, cercare la sezione on demand e scorrere tutte le puntate di quarto Grado degli ultimi 5 anni. Buona visione”.

“Se poi qualcuno – continua il giornalista – volesse ulteriormente approfondire il mio convincimento sul tema, suggerisco la lettura del libro “Armatevi e morite”, che ho scritto nel 2017 con il collega e amico Pietrangelo Buttafuoco, insieme con il quale, stigmatizzando quella deriva politica che punta a fare del cittadino il “poliziotto di se stesso” e dargli di fatto “licenza di uccidere”, sottoscrivo quello che ancora oggi è scolpito sul cornicione della questura di Lecce: “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nessuno contro lo Stato”.

Nello stesso libro, dopo aver raccontato il caso di una vittima che, sentendosi abbandonata dalla giustizia aveva deciso di farsi giustizia con le propie mani, scrivo testuale che, così facendo:
“Si zompa indietro all’esercizio privato del diritto, che è un colpo al cuore della civilizzazione. Nessuna società civile può permettere che un cittadino vendichi il torto subito, che scelga la via corta della giustizia fatta in proprio rispetto a quella a volte rattoppata, malandata, anche scalcagnata che lo Stato cerca di amministrare con fatica nell’interesse non dei singoli ma di tutta la comunità. Perché se prevale la soddisfazione dell’interesse del singolo individuo colpito da un’ingiustizia si torna nel far west con i ladri di cavalli. Si torna alla logica della corda insaponata. A una società eccitata e imbruttita dalla rabbia sociale, dalla piazza che sputa addosso al colpevole e invoca la mano del boia.
Per fortuna ci sono le regole, anche quando ci sembra che non siano perfette e che non soddisfino a dovere la nostra domanda di giustizia. Per fortuna ci sono le leggi, che ci sollevano dai nostri istinti più repressi, dalle nostre passioni, dal nostro dolore, dalla nostra insaziabile sete di vendetta.
La vendetta è l’esatto contrario della giustizia, la vendetta fa a cazzotti con quel meraviglioso sentimento chiamato amore. La vendetta non fa mai giustizia. Mai, in nessun caso. Neppure quando ci sembra cosa buona e giusta. Perché non c’è giustizia e amore nel marito di Vasto che spara al ragazzo colpevole di aver provocato la morte della moglie passando con il semaforo rosso, per poi andare a deporre la pistola come fosse un mazzo di fiori sulla tomba della donna vendicata. Un gesto teatrale, da carogna per bene, da giustiziere spietato ma di cuore, virile ma lieve, duro per necessità. Non c’è giustizia e nessuna giustificazione nell’ammazzare un povero ragazzo per bene di vent’anni che la sera di quel maledetto incidente guidava a poco più di cinquanta all’ora, non era ubriaco e neppure drogato, non era fuggito, aveva chiamato i soccorsi ed era rimasto lì fino all’ultimo. Un ragazzo che restava chiuso in casa nel suo dolore mentre la gente scendeva in piazza, manifestava e chiedeva giustizia esemplare. Sangue, voleva soltanto sangue la folla inferocita. E l’ha avuto””.

“Torniamo alla lettera recapitata all’avvocato di Antonio Ciontoli – conclude Abbate – Ho letto una ricostruzione che fa riferimento a una puntata specifica di Quarto Grado nella quale avrei utilizzato il termine vendetta. Non mi nascondo, mi ritengo pulito e cristallino. Se qualcuno ha potuto interpretare le mie parole in maniera distorta, e qualcun altro ha trovato margine per attribuirmi un pensiero che non è il mio, evidentemente non sono stato fortunato nell’esposizione, quindi non abbastanza chiaro. Ribadisco quindi che anche in quella circostanza in cui auspicavo una “giustizia spietata” nei confronti dei Ciontoli, non mi riferivo certo a una sorta di giustizia alternativa a quella del tribunale.
Chiarito questo passaggio, ritengo di avere le carte in regola per non permettere a nessuno di attribuirmi la volontà di istigare il prossimo a delinquere. Chi ha ritenuto di strumentalizzarmi per mettere in atto un gesto del genere, e per propinare una sorta di chiamata alle armi per una giustizia privata e sommaria, è in malafede ed è giusto che ne risponda in sede legale.
Questa sera, a tutela del mio buon nome leso dal messaggio recapitato all’avvocato Miroli, ho presentato una denuncia querela negli uffici della Questura di Milano, conferendo mandato di rappresentarmi e difendermi in tutte le sedi opportune all’avvocato Paolo Pirani del foro di Civitavecchia”.