Sta facendo molto discutere nel nostro territorio lo sviluppo di attività commerciali gestite da persone di nazionalità cinese. Dai comitati dei commercianti ai semplici cittadini sta montando una protesta sempre più vigorosa che Terzobinario.it sta seguendo con interesse.
L’argomento è delicato e il malcontento si tinge di sfumature diverse. Si va dal solito atteggiamento ostile verso lo straniero in sé fino a considerazioni più motivate di ordine economico (concorrenza sleale) e legale (opacità gestionale e proprietaria), le ultime due avanzate soprattutto dai commercianti italiani.
In questo caso quello che manca maggiormente è un’analisi più ampia nella quale inquadrare questo nuovo fenomeno per comprenderlo appieno. Se si grida allo scandalo senza cercare di capire da dove nasca realmente il problema il rischio è il ciarpame razzista, inaccettabile e illogico.
La proliferazione di negozi made in China è solo uno dei tanti effetti del cosiddetto liberismo della globalizzazione, quel modello economico e di sviluppo che domina da trenta anni a questa parte ogni ganglio delle nostre società e che è anche il principale responsabile della pesantissima crisi economica che stiamo vivendo. Una critica ai negozianti cinesi è quindi seria solo se si parte da questo livello di analisi.
L’apertura sotto le nostre case di questi pittoreschi bazar è solo l’ultimo passaggio di un processo lungo che ha modificato i concetti di produzione, lavoro e consumo in occidente e che ha favorito un processo di colonizzazione del mercato asiatico nei nostri confronti. Questo modello economico ha creato uno spostamento degli investimenti e del lavoro in alcune parti del mondo e ha lasciato gli altri popoli nell’assurda condizione di essere consumatori senza più reddito.
Siamo invasi di merci provenienti dalla Cina. Gli stessi negozianti che protestano vendono (non certo per loro responsabilità) per la maggior parte oggetti che hanno visto una parte o tutta la loro produzione realizzarsi in Asia. Forse non ce ne siamo accorti ma sono anni che siamo diventati cinesi. Vestiamo cinese dalla testa ai piedi, la nostra casa è piena di oggetti prodotti lì e anche la nostra tecnologia “profuma” d’Oriente. Ma facciamo finta di niente. Il narcisismo consumistico eterodiretto dalla pubblicità è troppo sedimentato nelle nostre coscienze e non permette di cogliere pienamente l’infausta rivoluzione in atto.
Mentre il liberismo globalizzato sta uccidendo le nostre fabbriche e il nostro lavoro con un impoverimento senza precedenti, appare capziosa questa guerra verso il negoziante asiatico che si permette di aprire nelle nostre vie accanto ad altri commercianti che vendono anch’essi merci provenienti nella maggior parte dei casi da quel continente. È profondamente inutile prendersela con quel negoziante mentre sarebbe molto più utile criticare l’assurdo sistema che sta a monte della catena e semmai ripensarlo da capo.
Perché se la causa dei nostri mali diventa il signore con gli occhi a mandorla non stiamo risolvendo nessun problema, stiamo sacrificando soltanto un altro capro espiatorio sull’altare del dio mercato.