Bottiglie di vino, cancelli da riparare. Un linguaggio in codice utilizzato per sviare le indagini: questi alcuni particolari emersi dal blitz antidroga alla Borghesiana, che ha portato all’arresto di 13 soggetti (di cui una donna), appartenenti ad un’organizzazione criminale dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Le indagini, condotte dal dicembre 2015 al novembre 2018, dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Frascati, hanno permesso di individuare l’esistenza di un’organizzazione formata da soggetti italiani dediti alla gestione del traffico di droga, in particolare cocaina, all’interno del quartiere Borghesiana, situato a sud est della capitale.
L’operazione ‘Fort Apache 2016’ prende il nome da un bar che era diventato un vero e proprio fortino: telecamere, pitbull all’esterno e vedette. Un lavoro suddiviso in quattro turni giornalieri che rispecchiava una vera e propria catena di montaggio. Ovvero quattro soggetti a turno: uno spacciava, uno riforniva lo spacciatore e due ‘sentinelle’.
Le indagini, grazie anche all’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno consentito di individuare i vari pusher e di cristallizzare le diverse compravendite di cocaina, nonché di individuare il fornitore del gruppo in un 43enne romano, cognato del promotore, residente nel quartiere di Tor Bella Monaca.
Gli arresti odierni rappresentano l’epilogo di una lunga e complessa indagine che ha permesso di accertare l’esistenza di un’importante piazza di spaccio, nata oltre dieci anni addietro, organizzata in turni di lavoro con vedette, e capace di assicurare la fornitura della cocaina nel corso delle 24 ore grazie alla continua presenza di pusher che, previo contatto telefonico, assicuravano la consegna della sostanza stupefacente all’interno del quartiere.
L’attività investigativa è stata resa particolarmente difficile dall’asfissiante controllo assicurato dai membri dell’organizzazione pronti a segnalare, di volta in volta, la presenza delle Forze dell’ordine all’interno del quartiere. A causa della costante presenza degli investigatori, il gruppo criminale è stato costretto a mutare le diverse modalità di cessione dello stupefacente. Infatti, i pusher, inizialmente consegnavano lo stupefacente all’angolo delle strade della borgata o all’interno di un parco pubblico mentre, successivamente, hanno proceduto all’affitto di alcuni appartamenti all’interno dei quali venivano fatti convergere gli acquirenti che ricevevano così la droga. I locali, dopo essere stati individuati dal sodalizio, venivano blindati con grate di ferro e fornite di un sofisticato servizio di videosorveglianza, capace di monitorare ogni movimento.
Lauti anche i guadagni: un volume di affari dell’organizzazione pari a circa 5mila euro giornalieri, con punte di 10mila euro nel fine settimana.