Visita di un rappresentante della rivista culinaria dal Forbiciaro con annesso apprezzamento per il locale storico
Uscita una recensione – molto positiva – del Gambero Rosso su una delle attività storiche di Civitavecchia ovvero la Pizzeria del Ghetto.

Per la rivista culinaria, si è presentato Antonio Scarselli qualche giorno fa, apprezzando la pizza e raccontando la storia del locale aperto fin dal primo Dopoguerra.
QUI la recensione e di seguito il testo.
Che sia il traghetto verso Spagna, Grecia o Sardegna o magari la partenza per qualche crociera, Civitavecchia è sempre la risposta giusta soprattutto quando a imbarcarsi sono i romani. In verità però, questa cittadina portuale merita di essere visitata e non solo attraversata perché custodisce un interessante patrimonio storico e artistico. A due passi dal porto c’è la fortezza costruita da Michelangelo Buonarroti, poco più avanti c’è una fontana realizzata da Vanvitelli e poi, proprio nel centro storico civitavecchiese, c’è una pizzeria che da oltre 70 anni propone una pizza completamente diversa rispetto alle tonde più famose: è quella della storica Pizzeria del Ghetto.
Per raggiungere la pizzeria, si attraversa un po’ tutto il ghetto. Decisamente una bella passeggiata tra le mura di questa parte di Civitavecchia voluta da Papa Innocenzo XII, abitata per lo più da pescatori e commercianti non foss’altro per una certa comodità logistica visto che si trova a due passi dal mare. Ad aspettarci c’è la signora Silvia, mentre arriviamo la vediamo armeggiare accanto alla fontana: sono le 17, da lì a poco la pizzeria avrebbe aperto al pubblico e Silvia sistemava lo spazio esterno. Entriamo nel locale, la squadra di cucina è già all’opera e mentre l’impasto viene spezzato e il forno a legna portato a temperatura, ne approfittiamo per fare due chiacchiere con lei e farci raccontare la storia di questa pizza così particolare e del locale ovviamente.
«Tutto è iniziato negli anni Cinquanta. Un artigiano toscano di Chiesina Uzzanese (un piccolo paese in provincia di Pistoia) veniva a Civitavecchia a vendere cuoio e pellami. Per incrementare il suo giro di affari, decide di aprire un piccolo forno qui al ghetto dove faceva qualche filone di pane e queste ruote gigantesche di pizza tonda». Era il primissimo dopo guerra, da lì a breve sarebbe partito il boom economico ma il secondo conflitto mondiale era appena finito, lasciando fame e tanta povertà. C’era solo da riempire lo stomaco velocemente e con un impasto di acqua e farina steso bello alto, sporcato con un poco di pomodoro, ci si riusciva facilmente. La pizza piacque da subito, il locale lavorava alacremente tanto è vero che poco dopo lo stesso proprietario ne aprì un altro nella vicina Tolfa, ancora oggi operativo col nome di pizzeria Adriana.
«Mio marito (Giuliano Pampinella, ndr) entrò a lavorare in questa pizzeria da giovanissimo, erano gli anni ‘70 faceva il ragazzo di bottega. Davanti al forno ci ha trascorso più di quarant’anni della sua vita – racconta Silvia – questo locale è un pezzo di storia della nostra famiglia». Negli anni ’90 Silvia e suo marito rilevano la pizzeria e iniziano a gestirla, purtroppo però il signor Giuliano scompare nell’agosto del 2019 «non mi sono fatta schiacciare dal dolore – spiega Silvia – ho portato avanti l’attività insieme a mio figlio Simone e ai nostri collaboratori. Non volevo che andasse persa la tradizione di questa pizza e la profonda dedizione al lavoro di mio marito».
Parliamo di una pizza che nella forma è completamente diversa sia dalla napoletana, che dalla romana. Si parte dalla massa realizzata con acqua, farina, olio extravergine di oliva e lievito di birra; s’impasta e si fa lievitare direttamente nella macchina impastatrice per sole due ore. Si passa alla formatura dei panetti dalla pezzatura generosa (circa 400 grammi), quindi la stesura col mattarello lasciandola piuttosto alta. Infine in teglia dove viene condita e poi cotta in forno a legna per circa 8 minuti. «Il risultato è una pizza tonda molto grande, alta con la base croccante e l’interno morbido – spiega Silvia – la cuociamo in teglie realizzate in Toscana con una lega di ferro e acciaio».
Una pizza semplicissima, che disattende completamente tutte le regole della lunga lievitazione o dell’altra idratazione «Non abbiamo mai cambiato nulla, l’impasto è sempre lo stesso dall’apertura di 70 anni fa». E anche sui gusti, pochissime variazione fatta eccezione per qualche aggiunta, infatti oltre alla rossa con le acciughe, la margherita e la civitavecchiese – buonissima, sempre base rossa condita con peperoncino e pasta di acciughe – negli ultimi anni si è aggiunta anche la boscaiola con base bianca. Sono pizze molto grandi, dal diametro di quasi 40 centimentri, una è sufficiente per 2 o anche 4 persone, appena escono dal forno a legna vengono sistemate sul bancone quindi i clienti scelgono i gusti desiderati e poi si passa al taglio, rigorosamente fatto con le forbici ed è infatti per questo motivo che la pizzeria da molti è conosciuta col nome di Il Forbiciaro.
Il servizio è di quelli veloci e spartani, la pizza viene sistemata su carta alimentare e infine su dei vassoi; ci si siede in uno dei tavoli della sala interna o di quelli sociali all’esterno. «Da noi si mangia velocemente, facciamo solo pizza e niente fritti. È un posto alla buona ma prepariamo tutto con grande impegno e passione» conclude Silvia, mentre taglia con scioltezza 3 ruote di pizza per un gruppo di americani di passaggio a Civitavecchia prima d’imbarcarsi per chissà dove.
