Di questi strani tempi, in cui ci troviamo sballottati come fossimo dentro una sorta di lavatrice cosmica, che cosa dice la signora Poesia? Non trova certo ampio spazio, così seri e tragicamente chiusi nel nostro dolore, che attutiamo alla meglio con ipod, iphone, schermi luminosi, musichette strombazzate, tutto utile per distoglierci dall’incontrare gli occhi altrui. Hanno lavorato bene i maestri dell’incomunicabilità, ci sono riusciti pure con noi. Ormai ci si ritrova insieme, ammassi di carne vociante, nelle manifestazioni, dove per un po’ di tempo ci si illude di esistere, di contare qualcosa.
E’ avvilente come la storia non riesca ad insegnarci null’altro che nozioni, da snocciolare alla prima interrogazione utile. In politica ci troviamo ad osservare attoniti all’inettitudine e all’incapacità manifesta di mezzi uomini e mezze donne, sprovveduti o cialtroni ma tutt’altro che esempio di pensiero superiore, pensiero guida.. C’erano tutti i presupposti per un buon cambiamento, ma una rivoluzione non era possibile, il popolo e lo stato tutto non è ancora pronto.
Il popolo italiano è lento e indolente, preferisce una squallida certezza ad un’ignota opportunità. Il terrore per le novità ha sempre trattenuto il nostro paese dall’affrontare con entusiasmo i cambiamenti e soprattutto di questi tempi, in cui una guerra fatta di bombardamenti trasparenti incombe, lasciando a terra centinaia di suicidi, morti sul lavoro e morti vivi, tal quali a volte siamo noi. La reazione generale è una rabbia opaca, un disinteresse, un’indifferenza, che sfocia poi nell’astensionismo, che ormai è arrivato a quota 50% degli elettori, come abbiamo visto in Trentino.
Di fronte a questi esempi di nazione marcescente, che sa quel che non vuole e quel che non è, priva di entusiasmo, non può non tornarci in mente un grande del nostro tempo: Eugenio Montale. Non starò qui ad emulare fior fiore di critici e storici della letteratura, perché non ne abbiamo le capacità e del resto credo che sia stato scritto abbastanza su questo autore. Noi chiamiamo Eugenio qui che recalcitra, scontroso e timido come era, per confonderlo tra la gente, per rendere fruibili le sue parole, per dimostrare ancora una volta quanto la poesia si intesse con la vita quotidiana e parlo di poesia superiore, perché Montale è un autore superiore e lo sappiamo ma lo è ancor di più se analizziamo questa ultima quartina della prima poesia della raccolta OSSI DI SEPPIA, nota e arcinota ma non per questo meno bella:
“ Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo “.
Mai, come in questi tempi confusi, in cui le ideologie dell’ultimo Novecento si frantumano, emanando puzza di marcio; in cui fantocci o fantasmi di un passato glorioso, ormai in avanzato stato di decomposizione, si accapigliano davanti ai nostri occhi che, smarriti ed angosciati, rispondono astenendosi, tirandosi fuori, tipica reazione di quell’ammasso umano senza colla, chiamato popolo italiano, quell’ultimo verso ci riecheggia nella mente, agita il nostro sonno assente: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. In questo verso sembra racchiuso lo scontento scomposto, nel quale trovano spazio i venditori di parole, facendo trionfare personalismi, che l’unico pregio ( se così vogliamo denominarlo ) è di deludere ancor di più.
Nella delusione germoglia il fiore della Non Vita, dell’Inazione, quella che ci mette davanti solamente quel che NON VOGLIAMO, senza rabbia. Questa grigia indifferenza, fatta di attese estatiche, ci catapulta nel clima della poesia montaliana, soprattutto in quella degli Ossi di Seppia, dove il cuore del poeta, in continuo subbuglio per i suoi tragici amori, reagisce con un pacato, angoscioso rifiuto di vivere, quando vivere vuol dire lottare, reagire, tal quale sembra facciamo noi: rassegnati, angosciati, che spesso siamo tentati da qualche corda o qualche tubo del gas, quando dovremmo credere che ognuno di noi è importante, perché esiste e perché ha diritto ad una vita dignitosa, a dei governanti seri e responsabili, ad uno Stato giusto per tutti e non solo per pochi.