Omicidio Vannini, il procuratore capo Vardaro difende la D'Amore da "pressione mediatica" e ministro Bonafede • Terzo Binario News

Omicidio Vannini, il procuratore capo Vardaro difende la D’Amore da “pressione mediatica” e ministro Bonafede

Feb 15, 2020 | Cerveteri, Cronaca, Giustizia, Ladispoli

Nessuna lacuna o approssimazione nelle indagini sulla morte di Marco Vannini, il giovane di 20 anni morto a Ladispoli, il 17 maggio del 2015 dopo essere stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco, mentre si trovava a casa della fidanzata.

All’indomani della notizia che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha disposto l’azione disciplinare nei confronti del pm che ha condotto quell’inchiesta, Alessandra D’Amore, per presunte superficialità, è il capo della Procura di Civitavecchia, Andrea Vardaro, a scendere in campo. Non solo per chiarire che pm e investigatori hanno fatto tutto quello che dovevano, già nell’immediatezza della morte di Marco,colpito da uno sparo partito dalla pistola del padre della sua ragazza, il sottoufficiale della Marina Militare Antonio Ciontoli, e lasciato agonizzante per 110 lunghissimi minuti, prima che venissero chiamati i soccorsi. Ma anche per evidenziare che le conclusioni a cui è arrivata la procura – che ha ottenuto la condanna di Ciontoli in primo grado (a 14 anni) per omicidio volontario – sono state condivise dalla Procura generale, con l’impugnazione della sentenza di appello che ha riqualificato il reato in omicidio colposo e ha ridotto la pena a 5 anni. Un’impostazione che nelle scorse settimane ha avuto anche l’avallo della Cassazione che annullato la pronuncia di secondo grado, disponendo un nuovo processo anche per i familiari di Ciontoli, la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico, che erano stati condannati a 3 anni per omicidio colposo.
La nota della Procura è ufficialmente una risposta ai “numerosi articoli di stampa, pubblicati in questi giorni, nei quali viene ipotizzata l’inadeguatezza e l’incompletezza delle indagini svolte”. Ma è chiaro che il capo dei pm si rivolge anche al ministro della Giustizia, che contesterebbe al magistrato titolare dell’indagine di aver provocato con la sua condotta “un ingiusto danno ai genitori del ragazzo”. Vardaro ricostruisce puntigliosamente tutto quello che è stato fatto. E spiega che “subito dopo la morte del ragazzo sono stati effettuati i rilevi necessari per l’accertamento dello stato dei luoghi”. In particolare “30 minuti dopo il decesso è stato compiuto il primo capillare sopralluogo a casa dei Ciontoli da parte di ufficiali di polizia giudiziaria del Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Civitavecchia, che hanno provveduto al sequestro un bossolo esploso e due pistole, oltre che di oggetti e indumenti. Ed è stato fatto anche “il prelievo di sostanze ematiche” trasmesse al Ris di Roma per le indagini di laboratorio. Non solo: “si è proceduto inoltre al prelievo dei residui di polvere da sparo” su Antonio, Martina e Federico Ciontoli e sui loro indumenti. E “nella stessa giornata è stato emesso un decreto urgente per intercettare le conversazioni di Antonio Ciontoli, dei figli e della fidanzata del figlio (tutti presenti nell’abitazione al momento dei fatti), mentre attendevano , nel corridoio della stazione dei carabinieri di Civitavecchia il loro turno per essere sentiti dal pm. “Intercettazioni che – sottolinea il procuratore – hanno contribuito in maniera determinante all’accertamento della dinamica dei fatti”.Nel corso delle indagini “è stata disposta una consulenza medico-legale collegiale e l’acquisizione dei tabulati telefonici relativi a numerose utenze; sono state sentite numerose persone informate sui fatti” tra le quali anche due vicini di casa; e “sono stati acquisiti i file riguardanti le chiamate al 118 effettuate da componenti della famiglia Ciontoli”. Gli elementi di prova raccolti, sottolinea ancora il procuratore “hanno consentito di richiedere rinvio a giudizio di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari per il delitto di omicidio (doloso), rinvio a giudizio che è stato successivamente disposto dal gup”.
Già il legale della famiglia di Marco, Celestino Gnazi, aveva preso le difese del pm: “In primo grado le indagini sono state svolte in modo da raccogliere una montagna di elementi più che sufficienti a dimostrare la colpevolezza degli imputati. Nel caso va valutato il comportamento dei giudici”.