CasaPound Italia, ecco le riflessioni di Rossetti • Terzo Binario News

CasaPound Italia, ecco le riflessioni di Rossetti

Feb 1, 2018 | Senza categoria

“Vorrei affrontare un tema, o meglio proporre una riflessione, prendendo spunto  da un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti i cittadini di Ladispoli – ma anche dei Comuni limitrofi – da anni ormai: l’aumento incontrollato di attività commerciali cinesi di cui si parla incessantemente da anni – spiega l’avvocato Francesco Rossetti –

Di pochi giorni fa la notizia (aimè non isolata!) di un controllo dei NAS che hanno rinvenuto cibo avariato e ogni specie di insetti e sporcizia in un ristorante cinese della zona.

A tal proposito, i commercianti di Ladispoli hanno più volte espresso il loro malcontento, denunziando la diversità di controlli a cui sono sottoposti, ad esempio, i dipendenti di una attività italiana e che sono invece praticamente assenti o resi assai difficoltosi (a volte per vera e proprio irreperibilità) per le attività dei commercianti orientali.

Non intendo tuttavia polemizzare sul fenomeno, non voglio soffermarmi  sulla disparità di incombenti che gravano sulle attività italiane e quelli che lo Stato pretende dai cinesi, né voglio parlare delle modalità ritenute da alcuni quantomeno dubbie sulle modalità di acquisto o pagamento dei canoni di affitto – molto spesso in contanti – dei locali, così come non indugerò sulle condizioni di lavoro spesso disumane, dal momento che molti esercenti cinesi operano concretamente applicando “regole cinesi” in tema di ore settimanali lavorate, né sulla mancata capacità di comunicare in italiano da parte della maggior parte dei suddetti asiatici commercianti i quali sembrano non avere contatti né con gli omologhi italiani né fra di loro.

Per non parlare poi dei pericoli alla salute provocati da standard di sicurezza imparagonabili coi nostri (vedi il mercurio o gli acidi corrosivi sovente utilizzati nella loro produzione).

Tuttavia, a Ladispoli e dintorni molti cinesi sono subentrati in attività storiche, come dimostra la abbondante presenza di tali attività anche in pieno centro: per quasi ognuna di esse, una attività italiana ha cessato, o fallito.

Ma tralasciamo per un attimo questi “dettagli cinesi” locali, e concentriamoci su una domanda precisa: siamo veramente sicuri di cosa rappresenta socialmente ed economicamente il nostro semplice acquisto di un bene prodotto, lavorato e venduto da operatori stranieri?

Mi si risponderà, e comprensibilmente: “ma perché devo pagare di più un prodotto italiano piuttosto che pagarlo la metà da un cinese” (o chi per lui ovviamente)?

È un ragionamento corretto, dal punto strettamente economico.  Tuttavia deve essere chiaro cosa rappresenta questo gesto da un punto di vista non solo economico, ma anche sociale, per la nostra Nazione.

Porterei questo esempio personale: la differenza di prezzo tra una felpa interamente italiana e una da acquistare in rete, interamente straniera; ebbene questa differenza, a presunta parità di qualità (anche se ho i miei dubbi) poniamo sia di 10 Euro.

Invero, sembrerebbe conveniente l’acquisto in rete, ma abbiamo pensato che così facendo togliamo lavoro a operai tessili italiani? Abbiamo pensato che spesso e volentieri la tassazione concreta per questi beni è inferiore? E abbiamo pensato che buona parte dei soldi usati per comprare il bene straniero non resteranno in Italia?

Nessuno deve discutere la scelta individuale di comprare un prodotto straniero o dal cinese; tuttavia siamo davvero certi si tratti di una scelta consapevole?

Col nostro semplice acquisto quotidiano infatti determiniamo la direzione dell’ago della bilancia, e gli effetti indiretti sulla nostra economia sommati insieme sono sempre più devastanti: il produttore, il negoziante, il rivenditore italiano sta sparendo, i cinesi e le attività che vendono prodotti interamente stranieri li stanno sostituendo, neanche troppo lentamente.

La globalizzazione delle merci e la globalizzazione dei costumi non sono compartimenti stagni, l’una influenza l’altra e ci spinge verso una più ampia – ed in parte ritengo pianificata – cessione della nostra identità, il tutto spinto da un consumismo e una necessità di spendere che ci propinano da decenni come indispensabile.

Tornando all’esempio della felpa, liberissimi di acquistare la felpa straniera online e risparmiare quei 10 Euro, ma con la coscienza che alla fine dei conti il nostro senso di solidarietà nazionale, il nostro gesto di vero e proprio contemporaneo patriottismo, la voglia di aiutare gli italiani a restare al loro posto, beh, tutto questo per noi non vale 10 Euro!”