Scontro culturale al mercato settimanale • Terzo Binario News

Scontro culturale al mercato settimanale

Giu 7, 2014 | Blog, Simona Hristian

hristian-blog-pagNon rubate che è roba rubata!

Lenzuola per rivivere la prima notte di nozze!

Signori, comprate le piante di Terracina e la moglie vi si avvicina!

sono gli slogan “coloriti” che si sentono al mercatino settimanale di Ladispoli.

Tra le bancarelle di frutta, verdura, vestiti, cosmetici, bigiotteria e merci varie, si incontrano gli abitanti della città balneo-multiculturale e quelli provenienti dalle località limitrofe. Di origine diversa sono anche i venditori. Sulle bancarelle  o direttamente sull’asfalto, la merce è variegata e spesso di dubbia utilità. Poi ci sono i “maratoneti”, ossia gli instancabili venditori di agli o tronchetti della felicità che durante la sera si trasformano – più o meno miracolosamente – in venditori di rose.

Questi simpatici signori hanno il dono dell’ubiquità. Infatti, s’incontrano ovunque con le loro bustine contenenti il bulbo anti-vampiri che vendono usando l’efficace strategia dell’esaurimento nervoso: dopo l’ennesima volta in pochi minuti che ti propinano le benedette bustine, ti cedono i nervi e compri sperando di liberartene. Speranza vana, considerando la scarsa memoria visiva degli infaticabili venditori. Tra di loro non mancano quelli più spigliati e simpatici che usano espressioni autoironiche nel dialetto romanesco che oramai “masticano” bene: “aridanghete”, “riecchilo” ecc.

Il bazar e la “biodiversità” diventano un’occasione di diletto, complici anche il bel tempo e i ritmi della città di provincia. Per la maggior parte dei frequentatori, non per tutti. Ci sono infatti delle persone che non riescono proprio a godersi la passeggiata al mercato, lo shopping a poco prezzo o l’incontro con persone che difficilmente s’incontrano in altri contesti. Lo “scontro culturale” s’innesca, come sempre, dalle banalità. Una spinta per passare nei ristrettissimi corridoi creati tra le bancarelle, un bambino che fa i capricci o che è lasciato dalla mamma in carrozzina mentre lei guarda la merce sul banco, arzille signore che trascinano degli immensi carrelli della spesa e dai quali soltanto la morte le separa, una chiacchierata tra amiche con toni di voce che fanno invidia ai soprani, sono alcuni dei fattori scatenanti di guerre interculturali quasi sempre al femminile, che di culturale hanno ben poco.

Non  è raro assistere a delle scene di “ordinario” razzismo a tratti esilaranti come l’episodio che ha come protagonista un’elegantissima signora italiana, accompagnata dalla figlia quarantenne alla quale chiedeva continuatamente il parere sugli articoli di abbigliamento che guardava. Distanti una dall’altra, comunicavano strillando, incuranti delle altre persone. Improvvisamente, l’anziana signora è diventata consapevole della presenza degli altri e, in particolare, delle due donne africane che conversavano tra di loro con lo stesso tono di voce “confidenziale e discreto”. L’occasione era ottima per instaurare un dialogo interculturale tra simili e la signora ne ha approfittato, esordendo in maniera “gentile ed educata”: “State un po’ zitte, me state a rincoglionì! State zitte, altrimenti tornatevene al vostro Paese! Ma pensa te, qua viene tutta la feccia”.

Le “maleducate” africane, perplesse, confuse e forse impaurite da cotanto entusiasmo e dall’eccessiva voglia di socializzare, hanno preferito allontanarsi. Probabilmente appartengono a quella categoria di migranti che ancora non sono pronti per integrarsi. Il bello però doveva ancora arrivare.  Dopo l’uscita di scena delle signore africane, l’elegante signora ha continuato a esporre le proprie argomentazioni cercando la comprensione o l’approvazione di qualcun’altro. Per la gioia di tutti, a solidarizzare con lei sono state due giovani donne romene, senz’altro felici e grate di essere state – almeno per questa volta – loro stesse risparmiate dall’entusiasta accoglienza italiana. Trovarsi d’accordo con la popolazione “ospitante” fa sentire integrati, secondo una paradossale e perversa logica che trasforma le vittime in aguzzini appena gli si offre l’occasione. Qualche rivalsa ogni tanto giova alla salute e – fortunatamente – c’è sempre qualcuno più “straniero” di noi.

L’ostilità verso il “diverso” si manifesta anche nelle “strategie” di marketing, ispirate dal nazionalismo irrazionale e dall’avversione diversamente democratica verso la libera concorrenza. I venditori italiani, ma anche cinesi (sic!) cercano di persuadere i clienti sulla qualità della loro merce, usando frasi magiche come: “Merce made in Italy, signora, non vendo roba cinese”.

Questi episodi possono essere liquidati come banali esempi di vita provinciale, come ignoranza manifesta o come naturale conseguenza della crisi economica nonché morale e, certamente, non sono esaustivi per trarre delle conclusioni o per elaborare delle teorie. In quanto fenomeni comuni e frequenti, però, non vanno neanche sottovalutati. Certamente la situazione socio-economica porta con sé innumerevoli frustrazioni, esaurimento nervoso o altre turbe psico-esistenziali. È proprio in questi momenti che c’è bisogno di più consapevolezza di noi stessi e della realtà che ci circonda.

Una convivenza pacifica esige prima di tutto il rispetto per sé e per gli altri. La mancanza di educazione porta alla prepotenza mentre parole come “scusa”, “permesso”, “grazie” facilitano i rapporti. Anche l'(auto)ironia è un ottimo modo per superare le barriere “culturali”, come dimostrato dal proprietario delle bancarelle dove è avvenuto lo “scontro culturale” sopracitato. Testimone involontario dell’episodio, il saggio venditore, senza scomporsi, è intervenuto in maniera goliardica ed efficace, mettendo fine all’infelice episodio pronunciando con spiccato accento campano una sola frase “magica”: “Signò, fate più all’amore!”

https://www.youtube.com/watch?v=jfnnR94dSik