Nulla • Terzo Binario News

Riccardo-AgrestiOgni volta che la Scuola procede alla reazione ad un atto che violi le regole della vita sociale, si assiste ad una levata di scudi incredibile fatta di tante bellissime parole rappresentanti altrettanto bellissime intenzioni, soprattutto se l’attore è un bambino. Certamente è giusto considerare i problemi di un bambino “ingestibile”, occorre però proteggere anche tutti gli atri bimbi che frequentano la stessa classe ed hanno il diritto di rimanere sereni e in salute. È fin troppo facile affermare “non sapete gestire un bambino, occorre dedicarsi a lui e comprenderlo” oppure “se le maestre non sanno lavorare, stiano a casa loro”, ma quando poi un altro bimbo rischia di tornare a casa con un occhio in meno chi ne risponde? Cosa dire di chi non sa fare il genitore, magari perché si sente in colpa per non avere dedicato tutto il tempo che avrebbe voluto al proprio figlio? Per risolvere i problemi dei bambini, occorre comprendere i motivi del loro disagio, ma come può la Scuola comprendere le motivazioni delle manifestazioni di disagio che proprio i genitori di quei bimbi negano? Purtroppo sono tante le famiglie dei bimbi “ingestibili” che non vogliono assolutamente riconoscere i segnali di richiesta di aiuto espressi dai loro piccoli. Un bambino di 3 o 4 anni chiede aiuto per una situazione di disagio che lui stesso non comprende, non riconosce, non sa descrivere, non sa affrontare. Il suo modo di chiedere aiuto è uno solo: “mettersi in evidenza”.

L’uomo è un essere sociale, ha necessità di essere “riconosciuto” dagli altri, di avere certezza che “esista”. Un adulto maturo sa come farsi riconoscere. Un bambino, invece, non sa nemmeno che questo potrebbe essere il suo problema. Se la famiglia non gli dà le “risposte” giuste, lui agisce per avere quella attenzione che dimostra la propria esistenza. Il bambino, che al ristorante urla, corre fra i tavoli, infastidisce tutti, non è un bambino “cattivo” o “incivile”, sta solo chiedendo di essere riconosciuto; al limite maleducati o maleducanti sono i loro genitori. Se questi tollerano senza intervenire, trasmettono il messaggio “tu non esisti” oppure “quello che stai facendo è permesso”.
Ho incontrato uno di questi bambini durante il pranzo a mensa scolastica. Mentre salutavo i docenti presenti, è stato l’unico ad alzarsi dal suo posto, dove era “seduto” in modo scomposto, per venirmi a dare un pizzicotto. Non ho dato peso al fatto e mi sono poi accomodato al mio tavolo per effettuare il controllo del pasto. Dopo qualche minuto il bimbo si è messo ad urlare senza ragione. Al secondo urlo ho richiamato la maestra ed ho fatto avvicinare al mio posto il bimbo, che nel frattempo si era tolto anche le scarpe. Mentre era accanto a me ha cercato di infastidirmi, ma ho dato retta solo ad una bimba, la quale gentilmente mi poneva delle domande. Lui ha allora cambiato atteggiamento ed ha cominciato a pormi domande in modo gentile. Ovviamente gli ho allora dedicata la mia attenzione e le mie risposte. Il risultato è stato che, al termine del pranzo, quando lo ho riaccompagnato dai suoi compagni, mi ha teso la mano per farsi portare dalle maestre. Non sono uno psicologo (la mia laurea è in fisica), ma ci vuole molto poco per comprendere che quel bimbo cerca amore, gentilezza ed attenzione quasi esclusiva che non trova altrove e che non può trovare a scuola, dove le maestre hanno in classe quasi 30 alunni e ciascuno di loro merita attenzione e sicurezza.

Le famiglie di oggi sono molto diverse da quelle in cui ho vissuto io. In quei tempi lontani i genitori erano altrettanto impegnati come quelli odierni con il lavoro, erano anche stressati dalla povertà e dai disagi del dopoguerra. A quel tempo, però, esistevano altre figure di supporto: i nonni, i parenti, i fratelli più grandi, i vicini che avevano la porta sempre aperta. Oggi i genitori si trovano spesso da soli, in un periodo di crisi che colpisce tutti (forse non chi ci governa), senza supporto di familiari o altri. Il risultato è che il bimbo che soffre di un qualsiasi disagio, non trova valvole di sfogo. Inoltre la TV non gli mostra mai casi simili ai suoi, ma rappresenta sempre un mondo perfetto, dove sono tutti belli, felici, sani e senza problemi; in tal modo si sente ancor più inadeguato e non sa nemmeno come esprimerlo.

Esistono gli psicologi, perché non rivolgersi a loro? Ovviamente loro hanno la risposta sempre pronta (e non si tratta di una boutade, ma di un reale dato di fatto). Ma da un lato la loro esperienza e professionalità ha un costo, che non tutti possono permettersi; dall’altro lato c’è il rifiuto. Purtroppo, troppo spesso, quando la Scuola indica ai genitori la necessità di chiedere aiuto a chi ne sappia di più, la loro reazione è immediatamente negativa: “nostro figlio è sano, capisce tutto, non ha problemi! Chi è lei per dire che nostro figlio ha dei disagi? La nostra famiglia è sana, dallo psicologo ci vada lei!”. Forse prese di posizione di questo tipo indicano una situazione disperata e quel bimbo non riuscirà a farcela, nonostante queste sue manifestazioni di richiesta di aiuto denunciano una intelligenza addirittura superiore al normale.

Se un bimbo di 3 anni arriva a certe situazioni di rifiuto delle regole della comunità scolastica, contraddicendo le maestre; rifiutando le regole nonostante gli sia stata spiegata la necessità ed i motivi del corretto comportamento; graffiando, colpendo o tirando i capelli ai compagni; lanciando oggetti in aria; urlando senza motivo, uscendo e poi correndo per i corridoi; sporcando le pareti, distruggendo gli oggetti dei compagni; scalciando anche le maestre, e chi più ne ha ne metta, è evidente che stia manifestando un disagio nell’unico modo che conosce per potersi far notare.
Quando la scuola rappresenta ai genitori i comportamenti dei loro figli, la reazione è sempre la stessa e le parole sempre uguali: “mi meraviglio: nostro figlio non si comporta così a casa, anzi in piscina, in parrocchia o altrove è un perfetto angelo!”. Nulla conta che altri genitori raccontino che “altrove” quell’angelo fa ben di peggio perché a scuola almeno c’è lo spauracchio del “preside cattivo” che in qualche modo riesce a frenarli. Non solo questi genitori negano l’evidenza di ciò che le maestre raccontano (ma no si domandano perché mai delle serie professioniste dovrebbero raccontare falsità su di un bambino?), ma addirittura le si incolpa di incapacità, nonostante si tratti di docenti con anni di esperienza alle spalle e con figli ormai all’università.

Il “top” lo vissi durante una riunione del consiglio di classe di qualche anno fa, riunitosi per discutere sul comportamento di un ragazzo che aveva fratturato la gamba di un suo compagno con un calcio. La madre affermò che il suo “povero” figliolo era incolpevole in quanto non era colpa sua se l’altro ragazzo aveva le ossa deboli, tanto da fratturarsele con un semplice calcio! Magari se quella mamma, invece di sentirsi difensore a tutti i costi, avesse trasmesso al figlio, fin dall’infanzia, il rispetto per il prossimo, questi non sarebbe giunto a verificare la consistenza delle ossa dei suoi compagni,calciandoli uno ad uno.
Cosa fa la Scuola per questi bimbi che chiedono aiuto? La risposta è semplice: “nulla”, perché non ha mezzi né capacità per farlo. L’unica cosa che può fare è segnalare la situazione ai genitori, affinché cerchino supporto dalla struttura sanitaria nazionale. Strano che questi lo facciano non a seguito delle numerose segnalazioni accorate da parte delle maestre, ma solo quando viene convocata la riunione del consiglio di classe che dovrà esprimere la reazione della comunità scolastica a difesa di quel bimbo e di tutti gli altri che hanno diritto anche loro a restare sani e sereni.

Pubblicato giovedì, 23 Aprile 2015 @ 11:55:40     © RIPRODUZIONE RISERVATA