Ladispoli, il viaggio de "I Migliori 100" • Terzo Binario News

20160924_113129L’inizio di questo anno scolastico è stato un giorno importante, significativo, divertente e di grande spessore culturale per alcuni tra i migliori ragazzi della scuola “Corrado Melone” di Ladispoli. Perché ? Cos’è successo? Fortunatamente niente di grave o di brutto, anzi tutto il contrario: è da qualche anno che nella nostra scuola, alla fine dell’anno scolastico, viene “stilata” una classifica delle eccellenze chiamata “I Migliori 100“. Questa classifica riguarda tutte le prime medie e le seconde dell’istituto e per rientrarci bisogna avere ottenuto una media matematica dei voti molto alta che diviene sempre più alta di anno in anno. Chi riesce a qualificarsi, dopo il lavoro svolto e l’impegno usato in tutto l’anno, ha un bellissimo premio: poter visitare qualcosa di meraviglioso e di stupefacente, come scavi archeologici, città d’arte con palazzi e chiese storicamente e artisticamente di grande valore eccetera. Per esempio, vado sul personale, in questi due anni di scuola (ho appena cominciato la terza) ho avuto il grande piacere e la grandissima soddisfazione di ricevere una e-mail dal preside Riccardo Agresti e vedere, per due anni consecutivi, il mio nome tra quelli degli altri ragazzi. È stato magnifico, anche se mi è dispiaciuto per la mia compagna Beatrice che, invece, non ha potuto partecipare, per una brutta influenza. Emozioni a parte, entriamo nel vivo del discorso. Lo scorso anno ci hanno portato a visitare la meravigliosa Reggia di Caserta e la fabbrica di San Leucio, un esempio di modernità nel 1800 borbonico. Quest’anno siamo ritornati in Campania, in provincia di Napoli, ma questa volta a vedere gli scavi archeologici di Stabiae (Castellammare di Stabia) e di Oplontis (Torre Annunziata). È stato magnifico, abbiamo visitato due sontuose ville di epoca romana, una appartenuta addirittura a Poppea, moglie dell’imperatore Nerone, con caratteristiche comuni ma allo stesso tempo realizzate in modi differenti e originali.
20160924_104803Il nome Oplonti, il primo sito che abbiamo visitato, ha due diverse spiegazioni: o da un errore di trascrizione dal latino (ob fontis, luogo termale) oppure dal nome della divinità dell’opulenza Opi. Abbiamo iniziato la visita proprio con la maestosità e lo splendore della villa attribuita a Poppea Sabina, per via di una iscrizione dipinta su un’anfora, indirizzata ad un liberto della moglie di Nerone. Al momento dell’eruzione del Vesuvio la villa era disabitata, forse in fase di restauro a causa del terremoto del 62 dC e tutti gli oggetti sono stati ritrovati accantonati in alcune stanze. La villa, all’inizio degli scavi, era chiamata villa “A” per distinguerla da un’altra, la villa “B”. Grazie alle ottime e simpatiche spiegazioni fornite dalla nostra guida, che si è meravigliato e complimentato per il nostro comportamento (eravamo tutti attenti e desiderosi di sapere tutto su quei luoghi antichi conservati fino a noi), quegli spazi ci hanno subito affascinato. Si tratta di una tra le più importanti ville che si trovavano fuori la città di Pompei, sepolte anche esse dall’eruzione del 79 dC dalla “montagna” (così a Napoli chiamano il Vesuvio, forse per esorcizzare il pericolo mortale che rappresenta, ma che è allo stesso tempo fonte di vita).
20160924_114326Le indagini archeologiche in quest’area iniziarono nei primi anni del ‘700 e, girando per gli ambienti della dimora, abbiamo notato alcuni grandi buchi nei muri, fatti con picconi durante la prima fase della scoperta della villa, quando non si conosceva bene cosa si sarebbe trovato e quando le tecniche di scavo non erano certamente come quelle di oggi che sono, appunto, conservative. La villa fu portata alla luce solo negli anni ’60 del secolo scorso ed ancora oggi molta parte resta sepolta sotto la città. Oggi è considerata dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità, per questo deve essere preservato: non è nostro, ma di tutto il Mondo!
Si trattava di una residenza “per la villeggiatura“, con stanze spaziose, ben strutturate, ben affrescate, ma sono due i fattori che mi hanno particolarmente colpito. Il primo è che gli affreschi e le pitture sono in un ottimo stato di conservazione e il secondo riguarda la struttura della villa in sé. Abbiamo infatti visto dal vero quello che abbiamo sui libri: le caratteristiche generali delle domus romane. Abbiamo cominciato con l’impluvium (una piccola vasca nel salone che “riciclava” acqua piovana attraverso una finestra aperta sul soffitto), per proseguire poi con il triclinium (sala da pranzo per gli ospiti, dove i Romani amavano mangiare stesi su dei divani, infatti l’etimologia è “tre letti” perché, quando si mangiava, lo si faceva distesi e appoggiati sul fianco sinistro sui tre letti distesi lungo tre pareti) con un affresco famosissimo: il cestino di frutta. Sulla parete di questa stanza si notano affreschi e pitture parietali ancora quasi intatte. I Romani presero molto dai Greci, che rispettavano e consideravano dei modelli di riferimento dal punto di vista culturale e artistico; sulle pareti ritroviamo, proprio per questo motivo, dipinte maschere del teatro greco. Altri motivi o soggetti ricorrenti erano elementi naturali che rappresentavano l’armonia della natura. Accanto al triclinio è la cucina, una piccola stanza con due finestrelle e con due piccoli archi, sotto il piano di lavoro, dove si conservava la legna. Poi la latrina (dove i romani facevano i loro bisogni tutti insieme, senza alcuna intimità, e dove si discuteva anche di affari, ma con un impianto idraulico molto efficiente e moderno per mantenere l’igiene). Qui conviene riportare una delle tante curiosità che ci sono state svelate: per lavare i vestiti e sbiancarli (non esisteva ancora la candeggina), si usava l’urina (che era raccolta anche per strada dai passanti, mentre le persone più ricche usavano quella di cammello che era molto acida) che ha lo stesso effetto disinfettante e sbiancante della candeggina. L’urina era quindi molto commerciata ed aveva anche una grande importanza dal punto di vista economico; a questo proposito ci è stato riferito un aneddoto riguardante l’imperatore Vespasiano, il quale cominciò a tassarne il commercio imponendo una tassa sull’urina raccolta nelle latrine gestite dai privati (i famosi “vespasiani”) e che rispose a suo figlio Tito (che lo criticava per questa tassa) usando la famosa frase: “Pecunia non olet”, cioè: “i soldi non puzzano”, frase che, per troppi, ancora oggi è purtroppo veritiera. Se infatti Vespasiano si riferiva al cattivo odore della pipì, ancora più puzzolenti (metaforicamente parlando) sono i soldi di altre persone del giorno d’oggi. Siamo passati, poi, attraverso un lungo corridoio con delle panche in muratura dove i “clientes” attendevano, come in una sala di attesa, di poter parlare di affari con il padrone di casa. Il corridoio era decorato anche sul soffitto e mostrava una specie di insegna mosaicata. La nostra guida ci ha spiegato che molte cose di oggi non le abbiamo inventate noi, ma sono una evoluzione di quelle del passato. Ad esempio le insegne luminose che attirano i clienti in un negozio, furono un’invenzione dei Romani e sono visibili a Pompei con mosaici con tessere più chiare di altre che, alla luce della Luna, si evidenziavano come se emettessero luce, per non parlare degli inviti a votare questo o quello con promesse identiche a quelle fatte ancora oggi. Una villa imperiale non poteva non avere la zona termale, suddivisa in tepidarium (dove vi era acqua tiepida), frigidarium (dove si faceva il bagno nell’acqua fredda) e calidarium (acqua calda). Non mancava il Lararium, un piccolo altare in cui si veneravano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Abbiamo ammirato la magnifica piscina della villa, era enorme a testimonianza del lusso e del pregio di questa residenza: 61 metri di lunghezza e 17 di larghezza, pavimentata in cocciopesto e adornata ai bordi con statue di marmo (copie di epoca romana di originali greci). Tutto attorno si stendeva un bel un prato, con platani, oleandri e limoni, un giardino con alberi piantati di recente al posto di quelle dell’epoca, anche entro le mura dell’edificio con alberi piccoli e sentieri “liberi” che ti permettono di attraversare il parco. La cosa che mi ha più colpita sono state le pitture, che spesso rappresentano pavoni, cesti ricolmi di frutta e maschere teatrali di influsso greco che sembravano vere, dipinti ornamentali stupendi, tra cui quello di una vaschetta per far bere gli uccelli che sembravano veri, altri con dei e dee ed uno raffigurante un tempio simile ad una pagoda! Il massimo è stato osservare un piccolo salone completamente decorato con affreschi fra cui un cesto di frutta ricoperto da un velo trasparente ed un piatto con sopra una torta che faceva venire l’acquolina in bocca: davvero di grande finezza!
20160924_150515Purtroppo per raccontarvi tutto ciò che i miei occhi hanno visto non basterebbe un giorno, quindi a malincuore devo smettere perché voglio parlarvi un po’ della seconda villa che ho conosciuto: la Villa “San Marco” a Castellammare di Stabia, visitata dopo pranzo. Come mai si chiama villa san Marco se la dimora è di origine romana? La nostra guida ci ha spiegato che quando non si riesce a risalire al proprietario di un edificio, spetta agli studiosi dare un nome; in questo caso la dimora si chiama villa san Marco perché è vicina ad una piccola Cappella dedicata a san Marco. Questa villa ora è molto distante dal mare, ma all’epoca, prima che il Vesuvio espandesse il territorio con la sua eruzione, era proprio affacciata sul mare su una scogliera e doveva togliere il fiato per il panorama che offriva (anche oggi ciò che si vede non ha paragoni). Anche qui ho visto pitture colorate di grande raffinatezza, un bellissimo giardino e una piscina con tanto di scalette che danno su un grande prato. Se nella villa di Poppea il tema principale delle decorazioni è la natura, a villa san Marco il tema è l’amore. Sui muri i dipinti sembrano esserci vere persone. Alcuni affreschi sono in realtà riproduzioni degli originali che si trovano al Museo archeologico di Napoli o in altri musei, anche esteri. Anche in questa villa vi è una piscina, anche questa piuttosto grande ed abbiamo ammirato un grande salone all’aperto che, anticamente, prima dell’eruzione affacciava sul mare; poi il peristilio superiore, un grande corridoio porticato con al centro un cortile. All’aperto una meridiana dell’epoca spiccava sul giardino ancora perfettamente funzionante. Una curiosità era la cassaforte che non era nascosta, ma sistemata ben in vista all’ingresso, proprio per dimostrare la ricchezza del proprietario. La nostra guida ci ha mostrato una specie di pietra nel prato, in realtà si tratta di un calco di radici d’albero, fossilizzate dopo l’eruzione del Vesuvio: in base allo studio del calco è stato individuato il tipo di albero, al fine di ripiantare nel giardino alberi della stessa specie. Qui ci ha fatto notare come molto spesso non sia la cattiveria, ma l’ignoranza a causare danni irreparabili: infatti se non si spiega che quel “sasso” è ciò che resta delle radici di un albero di 2000 anni fa, un visitatore ignorante potrebbe toglierlo e rovinare lo scopo di quel luogo che è mantenere intatto per i nostri figli e nipoti ciò che la natura ci ha conservato per 2000 anni, allo scopo di studiare e migliorare il nostro stato. Molti criticano Pompei per l’abbandono in cui versa, ma non si pensa che in quel luogo stupendo entrano milioni di persone che spesso nemmeno sanno cosa stanno osservando e quindi non lo rispettano e sono attirati solo dalla pubblicità, mentre ci sono in Italia splendidi musei pieni di capolavori che restano deserti, visitati solo da pochi archeologi o studiosi per lo più stranieri.
Parlando delle rappresentazioni di divinità presenti sulla parete obliqua a fronte della piscina circondata da alberi di platano che si trovano nella medesima posizione di dove erano quelli andati distrutti dall’eruzione, la nostra guida ci ha spiegato come l’uomo venerando un santo non veneri una persona, ma un concetto cui hanno dato di volta in volta nomi diversi. Ad esempio il culto della romana dea Cerere (Ceres da cui cereali), che aveva soppiantato quello della dea greca Demetra (“Demeter”, cioè madre Terra, madre dispensatrice venerata fin dal VII secolo avanti Cristo, cioè prima degli dei omerici), è stato a sua volta sostituito dalla Madonna, madre di tutti gli uomini. Ciò che si venera non è una “semplice” donna, ma il senso di maternità e di protezione che solo offrono le madri e le donne, fra cui quella capace di generare Dio. Da qui, portare il discorso sul presepe che a Napoli ha raggiunto l’apice (come altre specialità non originare di Napoli ma che qui sono diventate il top, quali la pizza, il babà, la sfogliata eccetera), il passo è stato breve. La nostra guida ci ha spiegato come le chiese siano pieni di simboli che traducono i concetti in figure (ad esempio come spiegare la presenza di sfingi in alcune cattedrali?) per cui lo stesso presepe non è che un insieme di simboli sacri e pagani. Il presepe (diffuso solo nei Paesi cattolici) a Napoli è forse la cosa meno cattolica al mondo, infatti l’unico elemento veramente cristiano è Gesù. Solo per fare un esempio il bue e l’asinello (che non sono citati nei Vangeli canonici, ma in quello apocrifo di Giacomo) in realtà non sono inginocchiati per riscaldare il bambinello, né rimandano alla profezia di Isaia che non si riferiva alla nascita del Cristo, ma rappresentano simbolicamente rispettivamente l’ebraismo ed il mondo pagano, inginocchiati davanti al nuovo culto. Forse, ci ha spiegato, il presepe non è che la trasformazione dei larari (cha abbiamo appena osservato nelle due ville) dove ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, e che, in prossimità del solstizio di inverno, venivano festeggiati. In attesa della festa, compito dei bimbi era di lucidare le statuette e disporle in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Nella vigilia della festa, dinnanzi a tale recinto, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e bisnonni. Da notare come la rappresentazione dei larii sopravvisse nella cultura rurale, con parte del significato originario, almeno fino al 1400.
Per trasmettere anche una minima parte dell’emozione provata e spiegare tutto ci vorrebbe troppo tempo, ma spero ugualmente di aver potuto trasmettervi anche un minima parte di ciò che abbiamo visto e vissuto. Sono stata benissimo, mi è piaciuto da restare senza fiato e sognare ad occhi aperti! Voglio concludere consigliando a tutti coloro che leggeranno queste parole di andare e visitare i luoghi descritti.
Ringrazio il nostro preside e tutti i professori che ci hanno accompagnati e tutti i compagni che hanno reso questa giornata indimenticabile.
Desidero ringraziare il preside e i professori per la magnifica esperienza; un grazie speciale va anche a Giancarlo Rabaccini, Loredana Riccardi e Michele Carneglia, le nostre guide, che ci hanno spiegato con pazienza e in modo scherzoso, ma professionale, molte cose interessanti e soprattutto che hanno avuto tanta pazienza nell’accogliere e rispondere a tutte le nostre domande.
Purtroppo quest’anno per me è stato l’ultimo per poter cogliere l’occasione del viaggio premio, visto che sono ormai in terza … Comunque sono certo che questa e tutte le altre esperienze vissute e che vivrò in questa scuola le porterò con me ovunque andrò. Mi sono servite ad essere quello che sono e sarà sempre importante per me ricordare le opportunità che ho avuto. Soprattutto terrò sempre nel cuore i miei professori e il nostro caro preside!
Una bella esperienza! Grazie scuola “Corrado Melone”!

Pubblicato lunedì, 17 Ottobre 2016 @ 09:06:19     © RIPRODUZIONE RISERVATA