Quando si ha un figlio disabile, non è inusuale essere di cattivo umore. Spesso questo sordo dolore ci aggredisce proprio quando potremmo rilassarci. E’ così, e non ci sono spiegazioni. Inutile che mi affanni dietro la ricerca di validi motivi. Sono di malumore e basta, devo rassegnarmi per quest’oggi. E’ vero dovrei gioire perché mio figlio disabile, che tanto mi rende la vita difficile, non c’è. Invece, vorrei sputare in faccia alla gente tutto il veleno che ho in corpo. Le facce sorridenti, gli auguri per la festa, tutto mi urta i nervi… ma provo ad indossare la maschera, sì proprio quella con il sorriso stereotipato, quello che piace tanto, che dà forza agli altri per superare i loro problemi, che a confronto dei tuoi sono bazzecole. Mi va stretta quest’oggi, neanche l’avessi lavata in lavatrice!
Non posso però lasciarmi scorrere il tempo piangendomi addosso, non mi piace, preferisco la rabbia che mi rode le budella, mi fa sentire viva. Ho deciso, esco che è meglio.
Accendo il motore della mia auto, e ripercorro con la mente la lista delle cose che devo fare. Ho la mattinata piena, devo approfittare quando non c’è mio figlio per fare tutto quello che con lui non posso fare, cioè: tutto, e non mi dilungo a narrarvi, per non annoiarvi mortalmente con le mie lamentazioni.
Faccio sì e no duecento metri, dimenandomi nel solito slalom tra le macchine parcheggiate in seconda fila, quando sento squillare il mio cellulare.
«Pronto? Sì, chi parla? Aaah ciao Paola, dimmi. »
«Salve signora Sereni, mi scusi se la disturbo ma vorrei incontrarla. Purtroppo come le avevo già detto, ci sono problemi con i finanziamenti del progetto che riguarda il gruppo di suo figlio. Speravamo che ci fossero altri fondi, ma a tutt’oggi siamo costretti a rimodulare i pacchetti di assistenza »
Un fuoco mi divampa dentro il petto. Spalanco per un attimo la bocca, ho bisogno d’aria, ho bisogno di acqua per spegnere quell’incendio. Sono in auto, sono in mezzo a tanti manichini che ridono, che acquistano, che smadonnano pure loro poveracci!
Raccolgo le idee in un secondo e la bile verde e repellente si trasforma in parole brutte e cattive: « E’ vero Paola tu me lo avevi detto, ma non puoi biasimarmi se trovo deplorevole che non si siano trovati i soldi per sostenere questo gruppo di ragazzi molto grave! Trovo deplorevole che in questo momento di crisi, ci sia chi bene o male ha la giornata coperta da una discreta assistenza e chi invece usufruisce delle briciole e dei rimasugli di ore, racimolate solo per buona volontà. »
«Lei ha tutta la mia comprensione, signora, ma mi creda, noi più che venirvi incontro sulla rimodulazione delle ore sulla base delle vostre necessità non possiamo fare »
«Lo so mia cara Paola… lo so.. ma a noi cosa resta di fare? e, soprattutto, fino a quando siamo in grado di reggere queste battaglie, questa continua altalena di servizi? Perdonami mi trovi in una giornata di cattivo umore. »
« Si figuri, signora, ascoltarvi è il mio mestiere, il mio dovere ed anche il mio piacere. Potessi esservi maggiormente di aiuto! Allora ci vediamo domani mattina, va bene? »
Annuisco con un grugnito e richiudo il telefonino. Ecco trovato un valido motivo alla mia rabbia.
Per parlare con la psicologa della cooperativa di assistenza, avevo parcheggiato alla meglio. Rimetto in moto e proseguo in quel che doveva essere la mia libera uscita a far compere per la festa imminente.
La macchina va per fatti suoi, guido come un automa. Mi fermo davanti al solito bar, quello con le due donne simpatiche, quello dove il caffè schiumato è cremoso e molto gradevole.
Ho da fare così tanti giri: supermercato, mercato, posta, acchiappare due regali per quei quattro parenti affezionati, preparare il pranzo e….
intanto mi fermo a bere un caffè fronte mare.
Il tempo è grigio; le nuvole gonfie di pioggia sembrano pesare come macigni sulla testa. Mi infilo risoluta nel bar, ho voglia di fermare i pensieri davanti ad un caffè.
«Belle donne, buongiorno! » esordisco. Mi viene spontaneo sorridere, anche se ho il morale ancora più sotto i piedi. Confido molto nel caffè per trovare quell’energia che mi apparterrebbe per natura e che la sfiga mi ha strappato a morsi.
«Buon Giorno Carla, il solito? » mi risponde con voce canterina, quella tra le due che è mia coetanea ed anche proprietaria del bar.
«Certamente e con tutti i sentimenti, ne ho bisogno. »
Parliamo degli impegni delle feste, affatto piacevoli e molto stancanti.
Il mio cervello però non riesce a soffermarsi su queste noiose quisquilie e, chiedendo il permesso ad entrambe, prendo la mia tazzina e vado a sorseggiare fuori al freddo il mio caffè.
Ho bisogno di pensare. Ho bisogno di capire cosa devo fare per ottenere qualche successo. Chi chiamo prima degli amministratori pubblici? E cosa penso di ottenere?
Queste domande mi girano in testa vorticosamente al pari di due mosche, avvinghiate una sull’altra sotto il fascio di luce di una lampada. Girano e ronzano e il loro ronzio mi scassa i nervi, già logori o per meglio dire: tarlati.
Cammino sul lungomare silenzioso. Ho bisogno del raccoglimento, del rumore del vento, di quel muso birichino del mare!
Ho capito dopo tanti anni che non devo pianificare niente. Non è il mio forte, mi devo rassegnare. Sono invidiosissima di quelle donne, ( sì, donne, è vero, e chiedo perdono alle mie sorelle, non vorrei, ma è così; qui cerco di essere sincera almeno, tanto non mi sente nessuno ) che mi raccontano dei loro sacrifici, delle loro lotte per raggiungere le gioie di cui godono oggi. Sono felice per loro, sia chiaro, ma automaticamente mi compaiono davanti le immagini delle migliaia di donne, tra cui me stessa, che per il doppio della fatica hanno ricavato un quarto di soddisfazione.
Sono forse ingiusta, non sono obiettiva e non potete pretenderlo: sarei una grande, invece sono piccina: piccina e meschina.
Mentre cammino mi salta in testa di telefonare all’assessore, che è un amico.
Tutti in questa cittadina sono amici.
Posso ben dire di aver intessuto, con l’istituzione comunale di questa città, un rapporto abbastanza sincero e leale. Questo però non mi può bastare. Ho bisogno di servizi, di servizi veri e continuativi.
Mentre penso a questo, telefono all’assessore, non mi risponde. uffa. è mattina presto forse ancora è a casa.
Cammino a passo svelto e riporto la tazzina dentro al bar. Saluto le due donne, sempre carine e sorridenti.
Squilla il cellulare, rispondo: « Ciao Mario sono io Carla, Carla la mamma di Guido ricordi? Senti scusa se ti ho disturbato. Ho un problema gravissimo. Subito dopo le feste mio figlio avrà solo pochissime ore di assistenza.»
« Ti capisco, che non la conosco la tua storia? Ma sapessi in che situazione mi trovo come amministratore…. ho addirittura venti famiglie in lista di attesa, le quali non hanno neanche un’ora di assistenza. In una famiglia ci sono addirittura tre figli disabili gravi e io non ho un’ora da darle. »
Mentre Mario parla, io lo ascolto come si ascolta una vecchia canzone sentita già trecento volte. Cambiano gli amministratori ma il problema no. I servizi sociali costano un’enormità e i comuni sono in affanno. Dove le aziende sanitarie locali, dette ASL, hanno maggiori fondi, i servizi si intersecano e risultano ancora di buona qualità.
La nostra Asl è un dramma. Enorme come bacino di competenza, non riesce a soddisfare i bisogni estremamente diversificati dei vari territori che abbraccia.
Ai Comuni sono stati praticati tagli notevoli in questi anni e resta sempre il fatto che la gestione dei fondi pubblici conosce oscurità imperscrutabili.
Tutto giusto, tutto vero, ma chi resta a casa ad urlare è mio figlio…. che facciamo?
Sempre lo stesso interrogativo senza risposta. Più passano gli anni e meno risposte sembrano profilarsi all’orizzonte.
Spesso mi chiedo se vivrò prima o poi una realtà normale. Comincio a dubitarlo sinceramente.
Mario parla e io gli rispondo e dimostro una pacatezza che non mi appartiene. Sono spuntata, so che potrei prenderli tutti per il collo ma non otterrei nulla.
Chiudo la telefonata ripromettendomi di scrivere articoli, di dare battaglia in sinergia con le istituzioni, che almeno a parole ci provano ad esserci vicino. Forse… chissà!
Cosa ho ottenuto dopo due telefonate di un’ora ciascuna? Un nulla di fatto. Da dopo le feste mio figlio è a casa: inverno, primavera, estate, autunno.
Non paga a questo punto irrompo nell’ufficio comunale. Il silenzio che avvolge quelle stanze è inquietante. Due responsabili dei servizi lavorano a testa bassa. Numeri su numeri. Siamo noi: gli utenti.
Arrivo con il mio impeto. Arrivo con la pretesa di un diritto leso. Arrivo perché non è giusto che chi tanto e chi niente. Arrivo perché la bile mi ha invaso il volto.
Quel che era silenzio diventa il frastuono della mia voce.
Mi mostrano conti, mi mostrano fatture… mi mostrano… non hanno da nascondere quel che non possiedono.
E’ la lotta dei poveri quella che devo ingaggiare. E’ pretendere di far capire ad una mia sorella di settant’anni, che è sfatta dopo trenta, quaranta anni di questa vita, che è giusto cedere ore per far respirare anche gli altri.
Il diritto a quelle ore di assistenza se lo è conquistato con lotte e pianti e non lo molla e come lei tutti gli altri familiari, incattiviti ed irretiti dalla sventura e dalla precarietà dei servizi.
Voi che ne siete fuori avrete orrore di sentire queste cose, lo capisco, anche io ne ho, ma so che la nostra disperazione ha chiuso le porte delle case. A tavola non si aggiunge nessun posto e giriamo le spalle a chi mendica fuori dalla finestra… magari mentre recitiamo il rosario o qualche mantra che ci piace di più!
Il guaio però non siamo noi, noi siamo sfatti, tutti quanti. Siete voi amici cari, voi che sedete al calduccio delle vostre confortevoli vite; voi che vi dilaniate per delle futilità; voi che chiudete le vostre porte invece di donare un po’ del vostro tempo ad essere attenti cittadini, partecipativi ed impegnati a fare di questa nazione un paese civile e socialmente attento.
Noi siamo pochi, attaccati al telefono in cerca di aiuto. Voi, braccia e sorriso forte abbattete il muro dell’indifferenza, del sorriso di circostanza, della Festa che è solo la vostra festa.
… ma scusate ora devo fare una telefonata …mi manca il sindaco e poi questi qua li ho beccati tutti.
Un buon inizio d’anno si profila… niente male e tanti auguri all’indifferenza e scusate la mia insolenza.