La scuola Corrado Melone incontra Alberto Sed • Terzo Binario News

Sed e PascucciCome si può ancora prendere in braccio un bambino quando si è stati costretti a lanciarne in aria per farne fare un tiro al bersaglio? Quando si sono trasportati centinaia di corpi di bambini uccisi? Quando si è assistito, senza poter muoversi, alla morte della propria sorella sbranata da cani aizzati contro per gioco? Quando si è stati spettatori dell’umiliazione e della morte di un sacerdote che voleva solo dire messa?

Alberto Sed ha vissuto questo e altre atrocità e per anni ha tenuto dentro di sé il ricordo degli orrori vissuti. Poi anche l’ultima sorella è morta, di dolore, come reazione alla richiesta di un giornalista della RAI di avere una “rivincita” verso il nazismo, rivivendo sullo schermo quanto sofferto ad Aushwitz. Dall’incontro con il direttore responsabile della rivista “il Carabiniere”, il colonnello Roberto Riccardi, Alberto ha capito quale poteva essere la sua rivincita: raccontare ciò che accadde, tramandare il ricordo di quei terrori vissuti affinché i giovani sappiano e si difendano da chi non sa o non vuol sapere e non permettano il ripetersi della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Alberto, insieme a Riccardi, ha scritto un libro: “Sono stato un numero” e ora, pur avendo quasi 90 anni, gire per le scuole e racconta la sua storia affinché certe idee non vengano nemmeno immaginate.

Sed e il sindacoMercoledì 5 Novembre è venuto a Ladispoli Alberto Sed, un romano sopravvissuto, uno degli ultimi, all’infermo di Aushwitz, per incontrare gli studenti dell’Istituto Comprensivo “Corrado Melone” presso l’Aula Consiliare del Comune di Ladispoli dove è stato accolto prima dal delegato al turismo, dottor Federico Ascani, e dall’assessore alla scuola, dottor Roberto Ussia, poi dal disegnatore Gianluca Serratore, che ha proposto una sua visione onirica dei massacri avvenuti ad Aushwitz, ed infine anche dal Sindaco, dottor Crescenzo Paliotta, giunto a porgere il suo personale benvenuto insieme a quello dell’Amministrazione, auspicando che il futuro non riservi più orrori simili.

Alberto Sed autografaAlberto Sed ci ha narrato, in un silenzio incredibile per una sala piena di circa 400 ragazzi, per più di due ore, la sua storia, la sua vita, caratterizzata da molte cattiverie ed atrocità, ma anche colma di amore per la moglie, i figli e i nipoti ma, incredibile, anche per i tedeschi perché, ci ha raccontato, solo alcuni fanatici sono stati gli assassini di sua madre e sua sorella, altri non gli hanno fatto nulla.

Alberto aveva quindici anni quando fu deportato da Roma, insieme alla mamma ed alle tre sorelle; oltre a lui si salvò solo una di loro, Fatina, riuscita a sopravvivere dopo essere stata usata come cavia da laboratorio dal dottor Mengele.

Abbiamo potuto riflettere sulla follia che esiste dietro alla discriminazione ed al razzismo; abbiamo potuto “rivivere” la sua Storia e la Storia della Shoah, attraverso le parole di questo anziano signore.

Per noi, alunni della “Melone”, incontrare Alberto Sed è stato un evento unico che non dimenticheremo mai, perché abbiamo avuto una testimonianza diretta di una pagina tragica della storia del ‘900 da parte di chi è stato reduce dal lager di Auschwitz, abbiamo capito cosa accadde a milioni di persone nei campi di concentramento… Sì, ci ha raccontato di tante crudeltà.

Dopo la visione del filmato di Gianluca, Alberto ha cominciato a raccontare.

Alberto SedAlberto Sed è nato nel 1928 e vissuto a Roma. Una promessa del calcio (forse sarebbe diventato un asso se non ci fosse stata la guerra), giocava e vinceva nelle partite contro i ragazzi più grandi di lui… Era appena uscito dal collegio, quando fu deportato, a soli 15 anni… Orfano di padre, nel Marzo 1944 viene catturato insieme alla sua famiglia e deportato su un treno insieme a moltissime persone a Auschwitz in Polonia. Arrivati al campo di concentramento, gli uomini venivano divisi dalle donne e le persone che non erano in grado fisicamente di lavorare venivano segnati e subito portati alle camere a gas ed i loro corpi ai forni crematori. All’inizio Alberto non sapeva neanche lo scopo del viaggio. Poi lo comprese: destinazione inferno, biglietto solo andata.

Alberto ci ricorda che non c’erano solo ebrei su quel treno. Ha visto trucidare partigiani, zingari, omosessuali, politici contrari al nazismo, disabili, persone comuni che chissà cosa avevano di diverso dall’ideale degli ariani. In un vagone c’erano un centinaio di persone, strette come sardine. Niente soste, niente cibo, niente acqua, nessun servizio igienico per tre giorni. Chi sopravvisse, rimpianse di non essere morto sul quel treno. Alberto sopravvisse e appena arrivato venne subito diviso da sua madre e le sue tre sorelle: Fatina, Angelica ed Emma. Non poté neanche dire loro addio, dare un ultimo abbraccio. Dopo aver diviso le file fra maschi e femmine, ognuna di queste ultime veniva divisa fra più deboli, a sinistra, e più forti a destra. I più deboli andavano subito nelle camere a gas.

Lui fu più fortunato, se così si può dire. Gli fecero subito togliere eventuali oggetti di valore, lo fecero lavare, e gli misero la divisa a strisce con la stella di Davide. Poi gli tatuarono un numero: A5491. Da quel momento lui non sarebbe più stato Alberto Sed, ma A5491. Così, dopo aver perso i propri cari, i propri oggetti, i propri abiti e la sua identità, lo misero in una baracca: quella sarebbe stata casa sua. Lì dentro c’erano moltissime persone in piccole cuccette, a prima vista, nessun italiano, poi sentì delle parole in francese. Lui era stato in collegio per 5 anni e parlava e capiva perfettamente quella lingua, così andò a chiedere informazioni: chiese se sapessero dove erano sua madre e le sue tre sorelle e quelli, a loro volta chiesero se erano in grado di lavorare. La domanda lo stupì… rispose di no. I due francesi indicarono una grossa nube che usciva da un camino, gli chiesero “Vedi quella?” lui annui, “A cosa pensi che serva quel camino?” lui repliò che era per scaldare i capannoni, dato il pieno inverno. I due dissero qualcosa che Alberto prese come uno scherzo di pessimo gusto: “Ora li stanno riscaldando con tua madre e le tue sorelle”. Perché avevano fatto uno scherzo del genere a un ragazzino? Dopo un po’, Alberto incontrò un uomo che era stato messo di guardia alle latrine. Era italiano. Parlarono. Si chiamava Tasca e grazie a lui, Alberto uscirà vivo dai campi di concentramento. Tasca gli spigò molti trucchi per sfuggire alle cattiverie dei tedeschi ed ebbe anche l’ingrato compito di confermare la versione dei francesi. Non era uno scherzo.

Alberto continuò il lavoro nei campi di concentramento. Lavori inutili come per esempio portare dei pesantissimi massi o sacchi in un determinato posto, per poi riportarli nel punto di partenza il giorno dopo; lavoravano nelle miniere; facevano lo smistamento delle persone appena arrivate. Dopo alcuni giorni si cambiava lavoro. Quando lui capitò allo smistamento, dovette assistere a scene orrende. I neonati venivano tutti messi su un carretto. I tedeschi gli ordinavano di lanciarli in aria. Loro, obbligati li lanciavano, poi uno dei tedeschi tirava fuori la pistola, e gli sparava. Era una scommessa. Giocavano al tiro al piattello.

Un racconto agghiacciante.
I compiti tuttavia non erano migliori delle punizioni. Un giorno capitò anche a lui. Lo fecero restare in piedi in mezzo alla neve per due ore: davanti a lui il filo spinato elettrificato; dietro di lui i cani pronti a sbranarlo al minimo accenno di caduta. I tedeschi speravano di divertirsi ammirando lo spettacolo alla sua caduta. Ma non fu così. Alberto resistette per due ore, in mezzo a quella gelida neve.

L’unica cosa che lo teneva in vita era la speranza che la guerra finisse. Speranza che aumentò quando venne a conoscenza dell’attentato ad Hitler.
Ogni giorno lo viveva come se fosse l’ultimo. Ci ha raccontato che una domenica videro un sacerdote che aveva indossato la tunica con l’intenzione di dire la messa della domenica. Alberto insieme ai suoi amici gli dissero di togliersela, perché se i nazisti lo avessero scoperto lo avrebbero torturato e poi ucciso, ma lui non gli diede retta ed infatti venne affogato da dei generali in una specie di piscina. Alberto prese pure parte a degli incontri di boxe a mani nude organizzati dai generali nazisti al puro scopo di divertirsi, a chi vinceva veniva dato un pezzo di pane.

Riuscì a salvarsi. Per un pelo. Non solo nei campi di sterminio, ma anche nella vita, dopo l’olocausto.

Alberto Sed è stato felice di rispondere alle nostre domande e di ricevere i lavori fatti da noi tra cui testi, disegni, cartelloni, un piattino, realizzato lo scorso anno dal Laboratorio di Ceramica, e una Pigotta. Un mio compagno di classe ha letto un testo per ringraziare il nostro ospite per essere venuto a raccontare la sua esperienza. Mentre Alberto parlava della sua storia, io cercavo di immaginarmi le scene anche se non le ho vissute… ho provato ammirazione per il fatto che, pur avendo quindici anni, è riuscito ad andare sempre avanti anche se si trovava in situazioni difficili e anche perché non sono stati molti a riuscire a sopravvivere ai campi di concentramento e alle crudeltà dei nazisti. Io sinceramente, se fossi stato al suo posto, non so cosa avrei fatto per sopravvivere e non so se sarei riuscito ad avere la forza per andare avanti.

Ci siamo fatti autografare il libro che ha scritto “Sono stato un numero” e spero tanto che continui a vivere a lungo per tramandare ad altri ragazzi le sue esperienze di vita.
Questo è stato forse l’incontro più significativo di tutti i tre anni di scuole medie. Ci ha fatto capire la vera tragedia dell’olocausto, le vere ingiustizie avvenute dentro i campi di concentramento.
È stato un incontro unico perché abbiamo avuto la prova che nella vita, anche nelle situazioni più estreme ed atroci, si può ottenere, pur con estrema fatica, ciò che si desidera fortemente, aggrappandosi a ciò che resta della speranza, quando tutto sembra ormai perduto.
Per Alberto la vera rivincita su Auschwitz è poter togliere ogni dubbio su quello che è accaduto, poter raccontare a noi ragazzi, poter testimoniare affinché la memoria non vada perduta.

Grazie Alberto. Grazie per la tua preziosa testimonianza.

Pubblicato mercoledì, 12 Novembre 2014 @ 08:32:05     © RIPRODUZIONE RISERVATA