
Trovare le parole giuste per definire in maniera politicamente corretta categorie sociali relativamente nuove, non è facile. Lo dimostra la diversità di locuzioni usate dai mass media per indicare chi è nato o cresciuto in Italia da genitori non italiani, che vanno da “seconda generazione”, “nuovi cittadini” o “nuovi italiani” a “figli di immigrati”. Il compito diventa ancora più difficile quando questi neo-cittadini italiani emigrano dall’Italia in cerca di un presente o un futuro migliore.
Dalal Ghanoum è una giovane donna italo-siriana, nata ad Edlib, nel nord della Siria, arrivata a Ladispoli all’età di 11 anni insieme ai genitori e alla sorella minore. Laureata in Lingue e comunicazione internazionale a Roma, da circa un anno vive a Londra dove svolge diversi lavori e collaborazioni, tra cui un progetto con una radio londinese.
Dalal, cosa ti ha spinto ad emigrare da grande?
Bella domanda! Il fatto è che non mi sentivo a mio agio in Italia. È un paese bellissimo, ricchissimo ma ugualmente rovinatissimo dal menefreghismo generale di una classe politica specchio dei suoi elettori.
Qual è secondo te la differenza tra quest’esperienza di emigrazione da adulta rispetto a quella che hai avuto da piccola?
Questa volta è stata una mia decisione, non quella dei miei genitori che oggi capisco più che mai.
Cosa ti manca dell’Italia e cosa no?
Gli affetti e le persone più care. Il fatto di uscire la sera d’estate e stare in spiaggia di notte.
Non mi manca l’afa e la gente ferma a concetti mentali arretrati e restrittivi. Ma quelli sono ovunque purtroppo…
Cosa significa per te sentirti a casa e qual è la tua casa?
Casa mia ora è qui a Londra. È il mio luogo di partenza verso altre “case”, definite dalle persone a cui voglio bene.
Che nazionalità hai?
Siriana e successivamente italiana, dal 2010.
Come hai ottenuto la cittadinanza italiana e cosa ha significato per te quel momento?
L’ho ottenuta per residenza storica, ma preferivo ottenerla per diritto, dato che sono diplomata e laureata in Italia. C’è anche da dire che in questa maniera si è “ufficializzato” la mia doppia radice culturale.
Con la nazionalità italiana ho avuto la possibilità di viaggiare in Europa e di potermi trasferire in Inghilterra senza troppa burocrazia.
Qual è il tuo rapporto con Ladispoli?
Ovviamente dopo il primo periodo di integrazione linguistica, mi sono trovata bene perché nonostante quello che si possa pensare di una cittadina di provincia, ho trovato una grande apertura culturale, forse per il fatto che ha ospitato onde migratorie costanti nel tempo, da diverse parti del mondo.
Qual è stato l’atteggiamento dei tuoi compagni di scuola nei tuoi confronti?
Inizialmente mi sentivo aliena perché mi guardavano con curiosità e accentuava tutto ciò il fatto che io l’italiano non lo parlavo per niente. Una volta superato questo scoglio, ritrovavo lo stesso sguardo nei professori che durante la mia carriera scolastica si sono susseguiti. La seconda domanda che mi facevano dopo aver finalmente pronunciato bene il mio nome era se parlavo l’italiano.
Nei mass media si usa il termine “seconde generazioni” per definire i figli dei non italiani nati e cresciuti in Italia. Tu che appartieni a questa “categoria” come ti definisci?
Forse è giusta, ma in questo momento della mia vita sono immigrata di prima generazione dal momento in cui ho deciso di lasciare l’Italia. E ciò influenza la mia visione passata del mio percorso “migratorio”.
Secondo te, le parole hanno un peso e un significato nella lotta contro le discriminazioni?
Assolutamente sì. Importanti quasi quanto l’autocoscienza dell’immigrato di essere ricchezza da preservare, non da aggredire sui Media. Assisto spesso a generalizzazioni e cliché che portano solo a costruire barriere tra le comunità.
Che rapporto hai con la cultura di origine dei tuoi genitori? La scelta degli studi che hai fatto è stata influenzata dal richiamo delle tue radici?
Fondamentalmente, tutto è stato dettato dal fatto che io l’arabo l’ho “rimosso” per imparare l’italiano come Dante comanda.
Scherzo, al di là delle prime titubanze volevo riacquisire la possibilità di leggere l’arabo così da poter informarmi meglio e anche per non cadere nei soliti stereotipi che riguardano le mie origini.
Dove ti vedi in futuro?
Non so, spero impegnata in un lavoro costruttivo.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Avere sempre tempo per viaggiare.
Grazie! Sħukrân