Se siete giovani o avete voglia di cambiamento, siete messi male. Se poi pretendete di sostenere la legalità, la correttezza e l’interesse collettivo, allora, ve la siete proprio cercata! Tutti vogliono il cambiamento e l’innovazione, ma solo in teoria e a condizione che non li tocchi e possibilmente colpisca i loro avversari. Insomma: abbiamo voglia di cambiare…. gli altri, per adeguarli alle nostre esigenze. Il cambiamento e l’innovazione, però “si portano”, sono come un brand. Accade così anche per l’antimafia. Tutti se ne servono per apparire più trendy, senza sentire il bisogno di condividerne nella sostanza i principi, né di adeguare i propri comportamenti.
Forse non esiste un popolo così dichiaratamente contro la corruzione e la mafia, da organizzare continuamente eventi e manifestazioni, a cui certamente partecipano anche personaggi discutibili. Anzi, non mi sorprenderei che i peggiori criminali, proprio per darsi un tono organizzino eventi contro la mafia. E il sospetto viene tutte quelle volte che si leggono targhe dedicate a eroi, vittime della mafia, di cui potersi servire come se fosse un bollino di cui fregiarsi (o per nascondere malefatte). E si prova la macabra sensazione che quelle celebrazioni abbiamo il significato opposto: quello di mostrare a tutti quale fine fanno quelli che si oppongono al sistema. Perché di sistema si tratta. E come accade per le leggi della fisica, il sistema è perfettamente strutturato per difendersi da ogni pericolo di “cambiamento” e potersi così conservare. Dove, per conservazione non si intende la difesa dei propri principi o degli ideali di riferimento, quanto, invece, dei propri componenti, delle loro famiglie e di chi li sostiene.
E non basta. Un sistema evoluto, proprio per assicurarsi le condizioni necessarie alla sua sopravvivenza lavora, sia al suo interno, sia all’esterno. All’interno si consolida nei propri vertici, simula l’utilizzo di strumenti partecipativi e governa le dinamiche dei gruppi, assicurando il livello di democrazia che consenta di non creare problemi alla leadership. All’esterno, invece, lo scopo è quello di mantenere il proprio ruolo nello scenario di riferimento, quindi si “sceglie” il nemico con cui ingaggiare battaglie etiche, da proclamare in pubblico, per poi, in privato, stringere accordi di convenienza reciproca. E le due parti si sostengono a vicenda, abbono bisogno ognuna dell’altra, temendo come una sciagura l’eventuale inserimento di altri interlocutori, nuovi, diversi, peggio se persino giovani e senza la propensione ai compromessi. Il loro punto di forza è che non c’è bisogno di altri interlocutori! Loro già rappresentano tutto lo scenario di cui si può avere bisogno. Una parte rappresenta una fazione e usa i colori appropriati, ne proclama gli ideali e addita i nemici della parte opposta. Chi non si ritrova può liberamente accomodarsi nell’altra con colori diversi e logiche speculari. Non servono ulteriori interlocutori. Non sono graditi.
E’ evidente che un sistema così non ammette nuovi soggetti, che sono interpretati come disturbatori. Figuriamoci se si tratta di giovani e pieni di valori. Certamente non possiamo affermare che ci sia una stretta equazione tra “giovani” e “pieni di valori”. Ne conosciamo diversi che vivono di scorciatoie e preferiscono calpestare le aule del palazzo a qualunque condizione, scendendo a qualunque compromesso, vendendo la freschezza che l’età gli regala in cambio della pesantezza di un clima di accordi e logiche sotterranee e dai fini poco nobili. Ma si rivelano subito, almeno in questo sono meno abili degli adulti, e il ridicolo li precede, quando non li sommerge. Tuttavia non si può non riconoscere che i giovani sono considerati più “pericolosi”. Perché più di altri, possono avvertire il gusto della scelta, dell’idea di futuro e soprattutto del “diritto” di non doversi servire dell’esperienza, per comprendere il mondo, ma delle logiche per orientarsi in direzione dei fini da raggiungere. Sembra proprio questo il nuovo bipolarismo: da una parte chi vive appesantito dall’esperienza (che per Oscar Wilde è solo una somma di errori), facendone, persino un vanto, a dispetto di qualsiasi valore e utilità sociale; da un’altra parte, chi, invece, utilizza le chiavi interpretative della ragione, della speranza, dove hanno senso le regole e il rispetto delle finalità sociali e soprattutto il regno del possibile contrapposto alla rassegnazione del “non vale la pena”.
Per fortuna, così come non tutti i giovani sono sani e logici, non tutti i “babbani” sono corrotti e appesantiti. Ma in questi ultimi, riconosciamolo, la percentuale dei pessimisti e conservatori è maggiore. Ma soprattutto, ciò che rovina entrambi è il “fascino del potere e del successo”. Sono quelli che alla domanda “lei ucciderebbe sua madre per fare carriera”, rispondono di no solo perché ne utilizzano la pensione o comunque se ne servono. Insomma, tra valori già proclamati e ideali già rappresentati e coperti, la nostra società si presenta già strutturata. Il nuovo non serve: già c’è! Il sistema sociale, specialmente quello politico è come una cantiere con la scritta “personale al completo”. Non c’è posto, nemmeno per i volenterosi e armati di buona volontà o sani principi. Il cambiamento è accettato solo se rientra nelle previsioni (sembra un’affermazione strana, ma è così), altrimenti è considerato un problema o persino un pericolo per la stabilità sociale e la tenuta degli equilibri.
Conosco innovatori che recitano lo stesso ruolo da vent’anni, convinti di essere sempre originali e soprattutto combattendo come nemici chiunque proponga qualcosa di diverso, cioè di nuovo. E’ in questo clima che il cambiamento finisce di essere inteso come opportunità e genera sentimenti di paura, quando non di sospetto. E la paura e il sospetto sono gli ingredienti migliori per guidare una folla o persino un popolo. La tecnica è facile e consumata, ma sempre attuale. Chi governa promette il cambiamento (il solo possibile) e non sente il bisogno che lo facciano altri. Chi sta all’opposizione si propone un altro come il vero cambiamento, ma senza troppo impegno, altrimenti si compromettono gli equilibri, e gli accordi con la maggioranza vanno a monte. Chi vuole veramente il cambiamento e vuole prodigarsi per realizzarlo, avvicinandosi ai luoghi “dove si decide”, trova “gli spazi” già occupati e gli rimane solo di credere nella democrazia che dovrebbe consentire alla gente di scegliere chi va al governo.
E sembra tutto facile: se la gente vuole il cambiamento, non potrà, certamente votare quelli che lo impediscono! Quando si fa una scelta, come si fa a preferire il peggio? Ma non è così. In presenza di un elemento “nuovo”, il sistema si chiude a riccio e le contrapposizioni cadono. Le parti opposte vanno d’accordo, scendono a patti e così assicurano piena governabilità, per andare, tutti insieme, verso il cambiamento. E promettono la pace sociale che gli innovatori non possono assicurare. E la gente ? Si adegua al clima di protezione e all’allarme sul cambiamento. Come di fronte a un’emergenza, ciascuno si raccoglie intorno ai conoscenti. Vengono accantonate tutte le battaglie etiche e le pretese di legalità. Adesso c’è un nuovo nemico: ciò che è nuovo e diverso da noi. Non si tratta solo di una metafora dei nostri giorni e nemmeno della cronaca delle vicende del prossimo governo.
E’ una dinamica che caratterizza ogni contesto sociale, anche quello più prossimo a noi, nel quale la partecipazione è consentita solo a chi si manifesta particolarmente allineato e da prova di essere integrato. Ma questo non accade perché il potere è forte. Non lo è assolutamente! Accade solo perché è forte la pigrizia e la rassegnazione di chi lo sostiene, magari controvoglia o per semplice “scelta del meno peggio” preferendo sempre “ciò che conosce” anche se non condivide a “ciò che è nuovo”, ma non conosce. Ma soprattutto, mi sia consentito, la colpa più grave è di quelli che rinunciano ad essere “nuovi”, soprattutto se giovani, per essere ammessi nei palazzi del potere. E ne sposano le logiche, lo difendono fino a sostenerlo. E si sentono grandi se riescono a confondersi con il sistema e apparire “uno di loro”. Non serve a nulla essere giovani se si vive di vecchi copioni.