E' morto Dario Fo • Terzo Binario News
DARIO FO

DARIO FO

E’ morto Dario Fo, premio nobel per la letteratura.

Dario Fo si è spento all’ospedale Sacco di Milano, dove era stato ricoverato da circa due settimane.

A darne l’annuncio i familiari. Dario Fo aveva compiuto 90 anni il 24 marzo scorso.

Biografia

Dario Fo nasce a San Giano, un paesino presso il Lago Maggiore in provincia di Varese. (Da “Il paese dei Mezaràt”, 2002) “Tutto dipende da dove sei nato, diceva un grande saggio. E, per quanto mi riguarda, forse il saggio ci ha proprio azzeccato. Tanto per cominciare, devo dire grazie a mia madre, che ha scelto di partorirmi a San Giano, quasi a ridosso del Lago Maggiore. Strana metamorfosi di un nome: Giano bifronte, antico dio romano, che si trasforma in un santo cristiano, per di più presunto protettore dei fabulatore-comicos. In verità non fu mia madre a scegliere, ma le Ferrovie dello stato, che decisero di spedire mio padre a prestare servizio in quella stazione. Sì, mio padre era un capostazione, seppure avventizio. (…) Io venni al mondo fra un omnibus e un “merci”, in quella fermata sussidiaria a quattro passi dal Lago (ANTELACUS, è scritto su un reperto romano). Erano le sette del mattino quando mi decisi a far capolino fra le gambe di mia madre. La donna che fungeva da levatrice mi tirò fuori e mi sollevò come fossi un pollo per i piedi. Poi velocissima, mi assestò una gran pacca sulle natiche… urlai come un segnale d’allarme. In quell’istante transitava l’omnibus delle sei e mezzo… che arrivava naturalmente in ritardo. Mia madre ha sempre girato che il mio primo vagito aveva superato di gran lungo il fischio della locomotiva.”

Completano i suoi dati anagrafici il padre Felice, di fede socialista, capostazione e attore in una compagnia amatoriale, la madre Pina Rota, donna di grande fantasia e talento (negli anni ’70 pubblicherà un libro biografico di grande successo del mondo contadino dove era cresciuta: “Il paese delle rane” edito da Einaudi), il fratello Fulvio e la sorella Bianca, oltre ad un nonno materno agricoltore in Lomellina, presso il quale il piccolo Dario andrà a trascorrere i primi periodi di vacanza e dal quale apprende, seduto sul grande carro al suo fianco, i rudimenti del ritmo narrativo (vedi “Il Paese dei Mesaràt”, Edizione Feltrinelli).

Il nonno girava per i borghi vendendo verdura prodotta in proprio con un grande carro trainato da un cavallo e, per attirare i clienti, raccontava favole grottesche nelle quali inseriva la cronaca dei fatti avvenuti nel paese e nelle zone limitrofe. Questa attività di giornale satirico parlato gli era valso il soprannome di “Bristìn” (seme di peperone).

L’infanzia di Fo si svolge fra i traslochi di paese in paese, al seguito dei trasferimenti che la Direzione delle Ferrovie impone al padre.
Luoghi diversi, ma un medesimo ambiente culturale, dove il ragazzo cresce alla scuola della narratività non ufficiale, ascoltando i maestri soffiatori di vetro e pescatori del lago, che nelle osterie, nel porto e nelle piazze del paese raccontavano favole paradossali e grottesche, della tradizione orale dei “fabulatori”, nelle quali già affiorava una pungente satira politica.

Nel 1940 va a Milano (pendolare da Luino) per studiare all’Accademia di Brera. In seguito (dopo la guerra) si iscrive ad Architettura al Politecnico.

Durante la guerra, Dario, richiamato sotto le armi nella Repubblica di Salò, riesce a fuggire e trascorre gli ultimi mesi prima della liberazione nascosto in un sottotetto.
I genitori partecipano alla Resistenza, il padre, responsabile del CLN della zona, organizzava il passaggio clandestino in Svizzera di ricercati ebrei e prigionieri inglesi fuggiti; la madre curando i partigiani e i gappisti feriti.

Al proposito esiste una testimonianza del partigiano medaglia d’oro della Resistenza, Leo Wachter, partigiano, ebreo perseguitato che ricorda come durante la guerra più volte si sia rifugiato presso la famiglia Fo a Porto Valtravaglia.
Una volta, ferito gravemente ad una gamba, venne medicato e assistito dalla madre di Dario.

(Da “Il paese dei Mezaràt”, 2002)
“Quando penso a quel periodo fra il ’44 e il 45 mi sembra incredibile di aver vissuto tante storie, tutte ammucchiate in così breve tempo. Situazioni grottesche, tragiche, spesso vissute come dentro un incubo. Ancora oggi nel sonno mi capita di ritrovarmi a ripetere a tormentone lo sconquasso dei bombardamenti. Mi riappaiono le tradotte con i carri-merce dentro i quali mi sono richiuso, le fughe, le diserzioni, la polizia che mi viene a ricercare al paese… e ogni volta vivo l’angoscia di venir catturato e sbattuto in galera. (…) I quaranta giorni di scuola trascorrono a una velocità incredibile. Aspettiamo con ansia e trepidazione il giorno del lancio, ma all’improvviso il capitano ci avverte che ql campo d’aviazione di Vengono non ci sono più aerei disponibili (…) ci restano pochi gironi e poi verremo spediti chissà dove, forse al fronte, forse costretti a partecipare al rastrellamento dalle parti di Cirié, in Piemonte. La sera stessa con Marco decidiamo che è tempo di sloggiare immediatamente. Approfittiamo della libera uscita, corriamo alla stazione ferroviaria e montiamo sull’ultimo treno che raggiunge il lago e lo costeggia. Mi sono fabbricato altri due permessi falsi. Arrivati a Laveno ci salutiamo… io scendo a Porto. A casa trovo tutta la famiglia; espongo subito la mia situazione: sono di nuovo disertore, ma stavolta rischio di più. Mio padre ha un amico che abita a Caldé, un collega con il quale ha organizzato la fuga di molti perseguitati; è già d’accordo con lui: il ferroviere mi ospiterà nel sottotetto di una vecchia casa semi abbandonata di sua proprietà. E’ un mezzo rudere infroppato quasi completamente dentro un bosco nell’entrovalle. Per raggiungere il solaio c’è solo una scala a pioli; una volta lassù la dovrò ritirare e nasconderla nel sottotetto. Nessuno, nemmeno mia madre, sa di quel nascondiglio. (…) Trascorsi più di un mese là dentro, senza mai uscire. (…) Credo fosse un martedì, c’era un sole davvero splendente, in tutta la valle le piante a perdita d’occhio erano fiorite. Sento dei botti lontani, una dietro l’altra cominciano a suonare le campane di tutti i campanili intorno. Il vento è a mio vantaggio, mi arrivano gli sbattoni di campana fin da oltre il lago. Mi infilo nel lucernario e salgo in piedi sul tetto, da cui scorgo la piazza di Caldé: c’è una banda che spernacchia a perdifiato e ragazzi, donne e bambini che corrono di qua e di là. Sento urla festose di gente che sale verso il rudere, riconosco subito Alba con le sue amiche, il ferroviere e altri abitanti della valle. “E’ finita!” ripetono a gran voce. “La guerra è finita” Dopo la liberazione Dario riprende gli studi all’Accademia di Brera a Milano, sempre facendo il pendolare dal Lago Maggiore, e frequenta contemporaneamente la facoltà d’architettura del Politecnico che più tardi abbandonerà a pochi esami dalla laurea.

Tra il ’45 e il ’51 si dedica alla scenografia e alla decorazione teatrale e lavora come aiuto architetto nello studio Chiuti.

In quel periodo si esercita nella fabulazione. I suoi racconti paradossali hanno successo presso gli studenti dell’Accademia di Brera. Egualmente le sue esibizioni suscitano divertimento e applausi da parte di un pubblico inusuale, cioè i compagni di viaggio che affollano i treni che dal Lago Maggiore scendono fino a Milano e viceversa. Dopo un paio d’anni si trasferisce con la famiglia a Milano. Per i giovani Fo è un periodo di furibonde letture, in cui Gramsci e Marx si alternano con i romanzieri americani e con le prime traduzioni di Brecht, Majakovskij, Lorca. In quel dopoguerra esplode una vera e propria rivoluzione teatrale, soprattutto grazie alla nascita dei Teatri Stabili, il più famoso dei quali è senz’altro il Piccolo di Milano, che sviluppano fortemente l’idea di “scena nazional-popolare”. Fo è coinvolto da quell’effervescenza e si dimostra un insaziabile spettatore teatrale, costretto il più delle volte, per motivi economici, ad assistere in piedi alle rappresentazioni facendo parte della claque. Mamma Fo, per aiutare il marito a far proseguire gli studi ai tre figli, si ingegna a fare la camiciaia. E’ una donna molto aperta e ospitale. Nella sua casa spesso ci sono gli amici dei figli, tra cui: Emilio Tadini, Alik Cavalieri, Bobo Piccoli, Vittorini, Morlotti, Treccani, Crepax, alcuni di questi già famosi a quel tempo. Durante gli studi d’Architettura, Dario lavora come decoratore e aiuto architetto, e gli amici lo sollecitano spesso ad intrattenerli con le fabulazioni. Il successo di quei racconti è tale per cui viene addirittura invitato ad esibirsi durante feste e serate in locali popolari. Nell’estate del 1950 Dario si presenta all’attore Franco Parenti con un testo scritto da lui, la storia di Caino e Abele, una satira dove Caino, “poer nano” (povero cocco, affetuosa espressione lombarda), è un tontolone tutt’altro che cattivo, solo che, “poer nano”, ogni volta che cerca di imitare lo splendido Abele con i riccioli d’oro e gli occhi azzurri, gli va malissimo: subisce disastri uno dietro l’altro finché, impazzito, uccide lo splendido Abele.

Franco Parenti invita Fo a far parte della sua Compagnia di cui è impresario Carlo Mezzadri, marito di Pia. Dario inizia così a recitare nella rivista estiva diretta da Parenti, in questa occasione, si verifica il primo “incontro” di Dario Fo con Franca Rame, grazie ad un suo ritratto fotografico esposto in casa della madre di lei, a Varese, dove era capitato con Pia.
Ne rimane fortemente turbato!
E’ già il tempo della corruzione edilizia, Fo, disgustato dall’ambiente, decide di abbandonare Il Politecnico, gli studi di progettazione e i cantieri edilizi. Vive una situazione di forte crisi, tanto che decide di abbandonare anche l’università.
Si dedica totalmente al teatro, quasi come terapia alla delusione che lo ha assalito. Parenti riforma compagnia con “Le tre sorelle Nava” (vedette celeberrime del tempo), impresario ancora Carlo Mezzadri per uno spettacolo di varietà estivo che propone a Fo la scrittura, lui accetta.

Fonte: francarame.it

Pubblicato giovedì, 13 Ottobre 2016 @ 09:23:50     © RIPRODUZIONE RISERVATA