Ladispoli, parla Katia la madre di Daniele Nica: "La morte di mio figlio una fatalità? Voglio conoscere tutta la verità" • Terzo Binario News
Daniele Nica

Daniele Nica

«Ho perso mio figlio. Aveva 16 anni e ho molta rabbia. Lui era un ragazzo responsabile, buono e innocente. L’ho perso in un tragico incidente stradale che si vuole definire una fatalità. Mi è stato riferito invece, da alcune persone, che appena successo l’incidente, hanno visto l’investitore inginocchiato a terra che stava male, piangeva e diceva che mentre guidava, gli era cascato il telefonino e che nel tentativo di recuperarlo, non ha visto la macchina parcheggiata dov’era mio figlio, e gli è andato addosso. Poi dopo un po’, sul posto, arriva la mamma dell’investitore, lo ha coperto e rassicurato. Se nel primo quarto d’ora a tutti quanti ha detto che si era distratto per raccogliere il telefonino che gli era cascato, mi chiedo quell’incidente che a me ha tolto un figlio è solo fatalità? Da qui la mia rabbia e il desiderio di conoscere tutta la verità».

A parlare è Katia Giordani, la mamma di Daniele Nica, preso in pieno da una automobile, guidata da S. R. 31enne cerveterano, sulla statale Aurelia nei pressi del noto locale Pinar, nella notte tra venerdì 8 e sabato 9 luglio, attorno alle due. Continua mamma Katia: «Ciò che mi sconcerta è il formarsi di giudizi gratuiti conditi con autentiche menzogne. Il fatto che mio figlio stava con la macchinetta, che aveva bevuto, che aveva attraversato la strada, che è stato preso perché lui era distratto, tutte cose assolutamente non vere. O perché ‘’una madre’’ se lo poteva tenere dentro casa e non mandarlo alle due di notte in discoteca. Vogliamo giudicare le madri? Io mio figlio l’ho cresciuto con amore e con sacrificio, inculcandogli il senso di responsabilità e del dovere come base della propria dignità. Dignità che avrebbe portato me come madre ad aiutare mio figlio ad affrontare anche la giustizia nel caso ce ne fosse stato bisogno, e molto probabilmente lui ad interessarsi da subito delle condizioni dell’altro e non con una lettera raccomandata di poche righe».

Katia si lamenta perché nessuno quella tragica notte si è presentato all’ospedale per chiedere delle condizioni del figlio e dice: «Non c’è stata nessuna espressione di cordoglio, nessuna richiesta di scuse da parte dell’investitore ma solo, dopo più di venti giorni dal fatto, una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, fredda e formale, probabilmente dettata da un avvocato, in cui si dice “questo tragico evento ha coinvolto la tua e la nostra famiglia, vi sono vicino”. Di presenza umana manco l’ombra».

Katia ripercorre quella drammatica notte quando dopo la telefonata dei carabinieri è corsa assieme al marito all’ospedale con la speranza che il figlio sì, stesse male, fosse malconcio, ma vivo. Ma varcata la soglia del pronto soccorso dice: «Ho avuto la sensazione che mio figlio fosse morto quando gli infermieri al mio passare mi facevano largo a testa china, evitavano il mio sguardo e poi quel silenzio assordante. La conferma quando la dottoressa ha detto mettevi seduti che vi devo parlare. In quel momento ho capito e lì mi è crollato il mondo addosso. Ho avvertito come un vuoto che invadeva la mia esistenza. In quel momento mi sono accorta che avevo perso tutto. Ho perso il mondo».

Nel dolore e nello sconcerto vengono fuori tra i ricordi peggiori anche gli ultimi momenti di vita felice passata insieme. Dice mamma Katia: «La sera prima abbiamo passato una stupenda serata in famiglia, abbiamo cenato e mentre stiravo le sue camicie, la sua divisa per andare a lavorare, mi raccontava ciò che avrebbe fatto l’indomani. Mi aveva chiesto il permesso di andare in discoteca dopo aver finito il lavoro. E gli ho detto, si va bene, vai a salutare i tuoi amici e poi ti porterà a casa il papà di un tuo amico. L’indomani dopo pranzo il padre l’accompagna al lavoro. E lui scendendo le scale mi saluta e io gli dico buon lavoro e lui mi dice ok mamma ci vediamo quando torno stanotte. Ci siamo scambiati dei messaggi. Gli avevo chiesto se serviva la camicia per la sera e lui mi ha detto “no, mamma, tanto ho già la mia magliettina pulita me la sono portata” e poi lo sentivo sempre tramite messaggi, quel poco che poteva visto che stava al lavoro, e mi ha detto “stai tranquilla mamma sono un po’ stanco ma ce la faccio”. Nell’ultimo messaggio gli chiedo se era molto stanco e lui mi ha risposto ‘’sì un po’’».

Così Katia quella notte aspettava la chiamata del figlio per vedere come si sarebbero dovuti organizzare per il rientro invece, non ha saputo più niente fin quando non arriva la telefonata dei carabinieri. A Katia manca da morire: «Il sorriso, le coccole che mi faceva e il suo essere generoso nei confronti di noi genitori nel chiederci ogni sera: Mamma come stai? Papà come stai? Mi manca lui che mi accompagna a buttare la spazzatura tutte le sere, perché non mi lasciava far le scale da sola a mezzanotte. Mi mancano la sua gioia, la sua presenza mentre io stiro, il suo crescere, il suo diventare uomo, le sue tappe fondamentali. Mi manca vederlo andare in giro con i suoi amici. Quando loro mi vengono a trovare e mi tirano su, mi stanno vicini tutti quanti. Prima vedevo i quattro soliti amici che si allontanavano, erano quattro, adesso sono tre perché Daniele non c’è».
Al cimitero papà Marco ha creato un giardino, perché Daniele amava i giardini, dove c’è un sasso con la sua foto e dove gli amici possono andare a trovarlo. Lo stesso spazio è stato realizzato nel parco dell’Istituto alberghiero che lui frequentava per tutti quei ragazzi che andando a scuola lo vorranno ricordare.

(Fonte: La Provincia)

Pubblicato sabato, 24 Settembre 2016 @ 12:21:45     © RIPRODUZIONE RISERVATA